Indignarsi per l’annientamento di Gaza non basta più
Le Monde, 25 luglio 2025
Editoriale
L’accanimento di Israele a distruggere Gaza non si affievolisce. Il bilancio umano supererà fra poco la cifra sconvolgente di 60.000 morti, fra cui migliaia di bambini. Decine di migliaia di altri abitanti di Gaza, feriti, storpiati porteranno nella loro carne, durante la vita intera, il segno dei bombardamenti indiscriminati. Un’intera generazione cui questo giornale ha reso il solo omaggio possibile, dando loro un viso, quello di giovani Palestinesi, donne e uomini, falciati dalle bombe nel caffè Al-Baqa, non avranno conosciuto dello Stato ebraico che un impietoso blocco e un uso sproporzionato della forza da parte del suo esercito. Quest’ultimo finisce di perdere in questo assedio fuori dalla storia quanto gli restava di valori.
L’argomento degli ostaggi è risultato nullo quando Israele ha posto fine unilateralmente ad un cessate-il-fuoco che permetteva infine a decine di Israeliani catturati il 7 ottobre di ritrovare la libertà. Il pretesto dell’eradicazione di Hamas è stralogoro. Con questa guerra infinita di Benyamin Netanyahu e il rifiuto di quest’ultimo di prospettare un “giorno dopo”, cui si aggiungono le violenze dei coloni estremisti di Cisgiordania, il movimento islamista, pur ridotto, non smette di compensare ideologicamente quanto perde militarmente.
Alla violenza senza remore delle armi, in questo territorio strangolato da Israele, si è aggiunta la scandalosa manipolazione israelo-americana, denunciata da tutti gli specialisti delle situazioni di urgenza. Le distribuzioni drammaticamente insufficienti e caotiche di viveri, accompagnate da bagni di sangue, hanno prodotto fame e sete, e anche la morte per un pugno di pane.
Questo terrificante bilancio non è per niente casuale, si tratta del sotto prodotto della riconfigurazione del Vicino Oriente da parte dello Stato ebraico, permessa dalla sua egemonia militare garantita dagli Stati Uniti. Il diritto internazionale e umanitario violato ad ogni istante, i crimini di guerra banalizzati ne conseguono. Costituiscono nuove norme che Benyamin Netanyahu intende imporre.
I Paesi inorriditi da tale strategia pianificata e dal progetto di rendere Gaza letteralmente invivibile sono posti di fronte ad un’alternativa. Accontentarsi, come in passato, di ammonimenti senza conseguenze equivale o all’incomprensione totale di quanto è in gioco attualmente nella stretta fascia di terra, cioè la minaccia di una pulizia etnica, o a accontentarsi di una posizione minima dettata dalla debolezza. Dal pietoso riesame da parte degli europei dell’accordo di associazione con Israele non è uscito nient’altro.
Avendo lo Stato ebraico esaurito da molto tempo il diritto legittimo di difendersi che gli era stato riconosciuto dopo lo spaventoso attacco del 7 ottobtre, il coraggio esige ormai un richiamo all’ordine tradotto in atti all’altezza della carneficina in corso. I mezzi per farsi intendere e venire presi sul serio esistono. Si tratta di sanzioni, politiche, economiche o culturali. Esprimere tale coraggio permetterebbe di rompere finalmente con la posizione di due pesi due misure diventata insostenibile.
Rinunciare in questo modo all‘abitudine non è facile. Già si alzano voci che la codardia, una volta ancora, rimanga la regola. Agire o tacere e voltarsi dall’altra parte: la scelta non è mai stata così chiara.
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