Burkina Faso, l’eredità di Sankara parla più forte che mai
Africa, 18 Dicembre 2021
Si è aperto in Burkina Faso il processo per l’uccisione di Thomas Sankara, leader rivoluzionario e icona marxista del panafricanismo, acclamato in tutta l’Africa e oltre. Dopo l’indipendenza, il paese è stato investito da una serie di colpi di stato e si trova ora nella morsa di un’insurrezione jihadista attiva nella più ampia regione del Sahel. Sono trascorsi quasi trent’anni dalla rivoluzione, eppure l’eredità di Sankara parla più forte che mai. Il leader del Burkina Faso rimane una sorta di icona in tutta l’Africa. Ma per capirla a fondo occorre ripercorre la storia del paese.
di Federico Pani (Amistades)
La colonizzazione dell’Alto Volta
Il dominio coloniale comportò un nuovo assetto territoriale. Una delle maggiori potenze coloniali, la Francia, mise in atto sistemi centralizzati e relativamente uniformi. La dottrina francese di assimilation riteneva che la dominazione coloniale avrebbe trasformato i costumi e le istituzioni indigene a modello della civilisation française: i sujets africani sarebbero dovuti divenire dei citoyens, preparati ad assumere responsabilità di governo. Nonostante i suoi buoni propositi, il dominio diede vita ad un sistema coloniale centralizzato e gerarchico in cui i sujets erano sottoposti al regime dell’indigénat, fornendo in tal modo alle autorità amministrative il potere e l’autorità di comminare sanzioni penali senza che vi fosse alcun grado di giudizio.
Nel 1920 nella AOF, l’Africa occidentale francese, venne creato l’Alto Volta, l’attuale Burkina Faso. Nell’Alto Volta vennero messi in atto programmi di estensione di colture attraverso il lavoro obbligatorio nei terreni governativi (champs du commandant).
Dopo la fine del primo conflitto mondiale, l’istituzione del Conseils de notables indigenes coincise con l’inizio di un nuovo progetto amministrativo che si concretizzò attraverso l’individuazione e il rafforzamento, in ogni ambito territoriale, di quei capi che possedevano una certa legittimazione tradizionale. Fu in questa fase che la popolazione intensificò la presa di coscienza dei propri problemi e le costruzioni amministrative andarono ad arricchirsi di nuove identità etniche che divennero parte rilevante quando, durante gli anni Cinquanta, si formarono i primi partiti politici e vennero organizzate elezioni a livello locale.
In ragione del ruolo di primo piano svolto dalle colonie contro il regime nazista, la contestazione del sistema coloniale finì per essere relegata ad un ruolo marginale nel dibattito pubblico francese: dopo la fine del secondo conflitto mondiale, le colonie divennero il fulcro della ricostruzione economica e politica e dei progetti di grandeur francesi. La concessione di maggiori autonomie ai territori africani fu in larga parte dettata dai problemi che Parigi si trovava costretta ad affrontare negli altri contesti coloniali, soprattutto in Indocina e in Algeria. Proclamata dal generale De Gaulle alla Conferenza di Brazzaville (1944), l’assimilation doveva abbattere le relazioni di dipendenza coloniale, mentre l’Union Française creava un canale preferenziale di cooperazione politica, economica, culturale tra il mondo coloniale e la madrepatria francese.
Quali fenomeni hanno innescato la decolonizzazione?
La sconfitta francese in Indocina accrebbe l’importanza economica del continente africano. Il nuovo clima internazionale non risultava però essere favorevole al mantenimento del possesso delle colonie: i principi enunciati nella Carta Atlantica indicavano espressamente che ciascun popolo aveva il diritto di scegliere i propri governanti, mentre l’Organizzazione delle Nazioni Unite assumeva la tutela dei “mandati” della “defunta” Società delle Nazioni. Dopo il secondo conflitto mondiale si aprì inoltre una fase di riforme locali che permise ai partiti indigeni di organizzarsi ed istituzionalizzarsi. Nel 1952, l’economista Albert Sauvy coniò, in riferimento ai paesi coloniali ed extra-coloniali, il termine “terzo mondo”: i paesi terzomondisti iniziarono a reclamare a gran voce una decolonizzazione che fosse non soltanto politica ma anche economica. La Conferenza di Bandung (1955) fornì loro una risonanza globale ed accelerò ulteriormente il processo di decolonizzazione.
I primi anni di indipendenza: i militari al potere
Nel 1960 l’Alto Volta divenne uno Stato indipendente: l’8 dicembre dello stesso anno Maurice Yamèogo dell’UDV venne eletto con il 99,5% dei voti, con il compito di presiedere il nuovo governo e approvare la nuova Carta costituzionale. Ma Yamèogo rigettò il multipartitismo, dichiarando la “sovranità del partito su tutte le istituzioni”. Le elevate misure di austerità provocarono l’ira dei sindacati che invocarono un colpo di stato militare: il 3 gennaio del 1966 il colonnello Sangoulé Lamizana, dopo aver posto Yameogo agli arresti, si dichiarava Capo di Stato.
I quattordici anni di governo del generale Lamizana furono caratterizzati, tra le altre cose, anche da un graduale ripristino della legge marziale. Nell’ottobre del 1980 una serie di scioperi contro la corruzione spianò tuttavia la strada al rovesciamento del governo da parte del colonnello Saye Zerbo: anche quest’ultimo si alienò ben presto le antipatie della popolazione, specie di quei soldati radicali di orientamento marxista, tra i quali spiccava il capitano Thomas Noel Sankarà. Il 7 novembre 1982, guidati dal colonnello Gabriel Somè Yorian, i soldati di fanteria arrestarono Saye Zerbo: in qualità di nuovo Presidente venne designato Jean-Baptiste Ouèdraogo mentre il capitano Sankara assunse la carica di Primo Ministro.
La “Rivoluzione d’agosto” e le riforme di Sankara
Il ripristino della libertà di stampa proclamata dal presidente Ouèdraogo permise a Sankara di guadagnare popolarità tra la popolazione, specie dopo che quest’ultimo venne condotto agli arresti. Il malcontento esplose nel pomeriggio del 4 agosto 1983 quando studenti e lavoratori si impossessarono delle stazioni radio di Ouagadougou, capitale dell’Alto Volta, innalzando Sankara a leader incontrastato della “rivoluzione nazionale”.
I giovani ufficiali che conquistarono il potere ribattezzarono il paese con il nome di Burkina Faso, ovvero “terra degli uomini integri”, osteggiarono la vecchia classe politica ed avviarono programmi di sviluppo per le regioni rurali del Paese nel tentativo di costruire una società egualitaria. La “Rivoluzione d’agosto” di matrice marxista-leninista portò avanti la sua crociata contro i politici corrotti, puntando il dito contro quelle che Sankara indicava come le “ingiustizie” generate dal colonialismo francese. I rivoluzionari si consideravano infatti gli artefici di una nuova politica volta a combattere “l’imperialismo”.
Il “Discours d’orietation politique” (DOP-Orientation of Political Discourse) incoraggiò la formazione dei Comités de Défense de la Révoluion, nell’intento di unificare le forze sociali nella lotta alla corruzione e nella realizzazione di programmi per lo sviluppo. Di particolare rilevanza assunse la decisione di Sankara di promuovere il ruolo delle donne nella società.
La lotta alla corruzione venne portata avanti attraverso la creazione del “Tribunaux Populaires de la Révolution” e della “Commission du Peuple pour la Prevention de la Corruption”: tra le misure anticorruzione vi era quella di richiedere ai massimi funzionari governativi di presentare un rendiconto dei loro beni e guadagni personali.
L’azione governativa riguardò anche la sensibilizzazione sulle problematiche ambientali, come desertificazione e siccità: nell’aprile del ’85 un programma governativo si proponeva, ad esempio, di combattere gli incendi boschivi, stimolando il rimboschimento.
Il processo esacerberà ulteriormente le tensioni nel Paese?
Dopo ben 34 anni si è aperto il processo per l’uccisione di Sankara, in uno degli omicidi più cruenti della storia africana moderna. Sankara trovò la morte il 15 ottobre 1987 durante un tentativo di colpo di stato che vide salire al potere un alleato e amico proprio dello stesso Sankara, ovvero Blaise Compaoré, il quale figura tra i 14 accusati dell’omicidio del leader panafricanista. Attualmente l’ex presidente del Burkina Faso si trova in esilio in Costa d’Avorio, dove è fuggito dopo essere stato costretto a dimettersi durante le proteste di massa del 2014.
Nel 2017, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la Francia avrebbe declassificato i documenti del governo riguardanti l’uccisione di Sankara, dopo anni di critiche al ruolo svolto dall’ex governatore coloniale.
Sono trascorsi quasi trent’anni dalla rivoluzione, eppure l’eredità di Sankara parla più forte che mai. Il leader del Burkina Faso rimane una sorta di icona in tutta l’Africa. Per i popoli africani Sankara era un patriota e le sue riforme hanno contribuito ad incrementare il tasso di alfabetizzazione del Paese. Lo spirito di Sankara fu anche alla base di un movimento di protesta iniziato nel 2013 e denominato “Le Balai Citoyen” (letteralmente “la scopa dei cittadini”) che si opponeva contro le mosse del presidente Compaorè per estendere la sua presa sul potere oltre il 2015.
Tuttavia, le politiche di sinistra messe in atto da Sankara sono state criticate dalle organizzazioni per i diritti umani e definite “draconiane”: un rapporto pubblicato da Amnesty International ha rilevato che gli oppositori politici siano stati detenuti senza processo e gravemente torturati. E lo stesso ex Presidente Jean-Baptiste Ouédraogo ha descritto Sankara come dotato di “cinismo e machiavellismo politico”. Il processo potrebbe destabilizzare ulteriormente il Burkina Faso, già alle prese con frequenti attacchi di gruppi jihadisti legati ad al-Qaeda e al gruppo dello Stato Islamico che hanno costretto gli Stati saheliani a varare nuove misure antiterrorismo. Compaorè mantiene ancora una notevole influenza politica e i militari che gli rimangono fedeli potrebbero creare problemi alla stabilità del Paese.
(Federico Pani)
BIBLIOGRAFIA
Anna Maria Gentili, “Il leone il cacciatore”, Carocci Editore, 2008.
Winfried Speitkamp, “Breve storia dell’Africa”, Piccola Biblioteca Einaudi, 2010
Bryan J. Williamson, “From Upper Volta to Burkina Faso: a study of the politics of reaction and reform in a Post-Colonial African Nation-state, 1960-1987”, University of South Florida, Gennaio 2013.
“Amnesty International Report 1989”, Amnesty International Pubblication, Londra 1989.
SITOGRAFIA
Aȉssatou Diallo, “Thomas Sankara had two faces”, The Africa Report 4 marzo 2020 (http://www.theafricareport.com/24024/thomas-sankara-had-two-faces-jean-baptiste-ouedraogo/)
Alex Duval Smith, “Africa’s Che Guevara’: Thomas Sankara’s legacy”, BBC News, 30 aprile 2014. (https://www.bbc.com/news/world-africa-27219307)
Emmanuel Akinwotu, “Trial opens in Burkina Faso over killing of revolutionary hero Thomas Sankara”, The Guardian, 11 ottobre 2021
www.google.com/amp/s/amp.theguardian.com/world/2021/oct/11/thomas-sankara-trial-burkina-faso
Jewel Kiriungi, “Thomas Sankara trial in Burkina Faso: Who killed ‘Africa’s Che Guevara’?”, BBC News, 11 ottobre 2021.
www.google.com/amp/s/www.bbc.com/news/world-africa-58842427.amp”
Paul Melly, “Sahel jihadists: West Africa faces up to policing its terror triangle”, BBC News, 4 settembre 2021.
www.bbc.com/news/world-africa-58438905
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