Umoja, il villaggio del Kenya dove le donne sono libere dalla violenza di genere
10 Luglio 2023 – 20:58

Africa, 10 luglio 2023
di Claudia Volonterio
C’è un luogo sicuro in Kenya dove tante donne si sono rifugiate negli anni per proteggersi da ogni forma di violenza di genere, tra cui stupro, mutilazioni genitali femminili, abusi …

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I ricatti dei Paesi di transito all’Europa

a cura di in data 25 Settembre 2022 – 21:53Nessun commento

 

Africa, 25 settembre 2022

I Paesi europei più esposti ai flussi migratori del Mediterraneo – Italia, Spagna e Grecia – subiscono le fibrillazioni della politica delle maggiori nazioni di transito dei flussi migratori – Libia, Marocco, Turchia. Queste allentano i controlli ai confini, oppure li inaspriscono, per ottenere ciò che vogliono. Ma chi davvero paga, talvolta con la vita, sono i migranti.

di Meraf Villani

Gli accordi finora sottoscritti dai principali Stati europei in campo di gestione del fenomeno migratorio hanno raramente prodotto i frutti sperati: non sono riusciti a governare i flussi, nemmeno hanno funzionato come deterrenti nei confronti di trafficanti dediti ad attività clandestine. L’unico risultato ottenuto è stato creare ostacoli, spesso pericoli, ai migranti che lasciano la loro terra in cerca di un futuro migliore.

Particolarmente odiosi sono i trattati conclusi da parte europea con i Paesi denominati “di transito”, come la Libia o il Marocco o la Turchia (nel caso dei profughi siriani e afghani). Le nazioni europee affacciate sul Mediterraneo meridionale – Spagna, Italia e Grecia – non hanno certo la possibilità di sigillare le loro coste, pertanto appaltano – con l’avallo dell’Unione Europea – ai Paesi di transito la responsabilità del contrasto all’immigrazione clandestina. Copiosi finanziamenti costantemente elargiti dalla Comunità Europea sono gli strumenti cui questi Stati “di passaggio” svolgono il ruolo di guardiani dei confini europei.

Una strategia difensiva di questo genere ha mostrato fin da subito i suoi grandi limiti; basti citare le condizioni disumane – ampiamente documentate da osservatori indipendenti e persino da report ufficiali delle Nazioni Unite – che decine di migliaia di migranti devono subire nei “lager” libici. L’Italia aveva stretto accordi con la Libia con l’auspicio e l’apparente ingenua speranza che un Paese in forte crisi interna da anni potesse davvero essere la soluzione a un fenomeno migratorio senza precedenti. Ma quel che resta dello Stato libico non solo non fa parte della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, è chiaramente privo di un quadro giuridico nel campo dell’immigrazione che garantisca minime tutele.

Le testimonianze di chi è riuscito a sopravvivere all’inferno libico – denunciando torture, abusi, stupri, ricatti – hanno giustamente provocato indignazione. Meno clamore hanno suscitato le violenze perpetrate in Marocco. Il governo di Rabat è un fidato alleato della Ue, con cui mantiene solide e stabili relazioni politiche ed economiche. Quando i rapporti con l’Europa si fanno più tesi (per esempio lo scorso anno a causa della vicinanza dimostrata – e poi ritrattata – dal governo spagnolo alla causa sahrawi per l’annosa questione del Sahara Occidentale), le guardie di frontiera marocchine allentano i cordoni di sicurezza aumentando il flusso dei migranti, che sono così liberi di puntare all’Europa. La posizione geostrategica del Marocco e la possibilità che ha di aprire o chiudere i cancelli ai migranti gli offre il potere di “ricattare” e orientare il flusso migratorio secondo i propri interessi. Lo stesso, per intenderci, fanno il governo di Tripoli ed Erdogan in Turchia. Le due enclavi spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla sono i luoghi dove queste dinamiche esplodono drammaticamente (foto). Proprio qui negli ultimi mesi si sono verificati scontri e incidenti costati la vita a decine di migranti.

 

La frontiera terrestre fra Marocco e Spagna era stata riaperta dopo oltre due anni. Il passaggio era stato interrotto per via del covid ma anche per un braccio di ferro tra Madrid e Rabat (appunto per via della questione sahrawi), quando la polizia marocchina aveva allentato i controlli. La notizia della riapertura delle enclavi ha richiamato un massiccio numero di migranti e la pressione al confine ha causato gli scontri. L’episodio più drammatico è quello di giugno a Melilla, quando circa in 2.000 – in gran parte sudanesi – hanno tentato di sfondare il confine. Sarebbe di 37 migranti morti il bilancio dell’assalto, in gran parte travolti dalla spaventosa calca creatasi durante gli scontri con la polizia di frontiera.

La responsabilità di quanto avvenuto – e di quanto presumibilmente accadrà di nuovo – è duplice: da una parte la Spagna adotta metodi sbrigativi di valutazione di protezione internazionale e rimpatria, in talune circostanze 48 ore dopo l’ingresso nel suo territorio, gran parte dei migranti; dall’altra parte il Marocco non ha alcun quadro giuridico interno sulla gestione dei migranti nonostante, a differenza della Libia, faccia parte della Convenzione di Ginevra. Il timore costante della Spagna è che, in mancanza di un accordo valido con il Marocco, la rotta occidentale diventi il percorso più ambito per l’immigrazione illegale. Non a caso, Madrid usa parole di riconoscenza e di apprezzamento per le autorità di confine marocchine, anche quando si rendono responsabili di violenta repressione. L’ipocrisia europea porta a chiudere gli occhi su palesi e inaccettabili soprusi, a costo di decine di vite umane ritenute sacrificabili in nome di accordi che sembrano avere come ultimo interesse la tutela delle vite umane dei più fragili.

(Meraf Villani)

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