Le città cancellano la loro storia
Africa, 24 settembre 2022
Molte capitali africane stanno cambiando volto. Ma il restyling voluto dalle autorità prevede l’abbattimento di palazzi o quartieri storici considerati obsoleti, fuori moda, non decorosi o addirittura imbarazzanti per il passato che rappresentano e ricordano. Ma ruspe e picconi infliggono ferite insanabili.
di Federico Monica
Lo scorso luglio le autorità del Cairo hanno iniziato la rimozione e la distruzione delle ultime awamat, case galleggianti che da sempre punteggiano il corso del Nilo e sanciscono il rapporto unico fra la capitale egiziana e il suo fiume. Risalenti all’epoca della dominazione ottomana, questi caratteristici edifici in legno colorato a due piani e dalle grandi terrazze sarebbero stati demoliti in quanto privi di permessi e autorizzazioni, oltre che per lanciare un progetto di riqualificazione e “abbellimento” del lungofiume.
Il mito del piccone risanatore sembra essere tornato in voga in Egitto: soltanto pochi mesi fa, per far posto a una nuova grande superstrada è stata abbattuta una porzione della cosiddetta “Città dei Morti”, l’enorme e antichissimo cimitero monumentale, con mausolei risalenti a secoli fa molti dei quali occupati e abitati da migliaia di famiglie. Un luogo unico al mondo, in cui convivono un ancestrale culto dei morti e scene di vita quotidiana e che purtroppo anno dopo anno viene ridotto con la scusa dello sviluppo urbano e delle infrastrutture.
Purtroppo ciò che accade nella sterminata capitale egiziana è soltanto un esempio fra i tanti nel continente: da Dakar a Dar es Salaam edifici storici, architettura vernacolare (tipica/tradizionale), luoghi simbolici e tipici lasciano sempre più spesso il posto ad anonimi palazzi in cemento, frutto dell’inarrestabile crescita urbana e della conseguente speculazione edilizia. A Freetown, le secolari case krio (foto di apertura) – edifici in legno con verande e abbaini ispirati all’architettura del Mississippi e unici nel loro genere – sono sempre di meno, mentre ad Addis Abeba fra distruzione di edifici modernisti e dubbie ristrutturazioni il fenomeno è diventato così allarmante che gruppi di architetti e storici hanno iniziato una serie di campagne e battaglie sempre più aspre per proteggere ciò che rimane delle testimonianze storiche della città.
Fatti che mettono in evidenza il controverso rapporto di molte metropoli africane con la loro storia e il loro patrimonio architettonico e culturale. Nulla di nuovo sotto il sole, basti pensare alle devastazioni subite dal territorio italiano a partire dal boom economico per arrivare fino ai nostri giorni, eppure in questi contesti caratterizzati da ritmi di crescita vertiginosi e istituzioni non sempre solide il fenomeno della distruzione del patrimonio storico è particolarmente evidente e preoccupante. Non si tratta, però, soltanto di mera speculazione edilizia: la diatriba è anche “culturale” e contrappone, sia fra gli addetti ai lavori che fra le persone comuni, chi aspira a una città moderna ed efficiente a chi riconosce l’importanza di preservare le tracce del passato.
Un passato che in alcuni casi è pesante. Molto spesso gli edifici storici risalgono all’epoca coloniale, per esempio: tutelarli e preservarli significa anche, per forza di cose, perpetuare la memoria di epoche di oppressione. È così che palazzi storici o interi quartieri vengono percepiti da investitori e autorità locali come inutili orpelli di un tempo che fu, con un’immagine mediocre e fatiscente ben lontana dall’idea di città moderna fatta di strade a misura di auto, edifici alti, vetri riflettenti. Perdere edifici storici o stravolgere luoghi urbani ormai consolidati è però molto spesso una ferita difficile da sanare: si rischia di creare città senza peculiarità, senza un’anima. Omologate e appiattite su stili di vita, forme e spazi anonimi e mediocri, una brutta copia di modelli sviluppati altrove, poco sostenibili sia a livello sociale sia a livello ambientale.
Esistono eccezioni? Sì. Asmara, per esempio, ha da tempo tutelato il proprio centro storico riuscendo persino a ottenere il riconoscimento Unesco; nella stessa direzione sta andando, sparsa per tutto il continente, una nuova generazione di architetti, urbanisti e tecnici africani, sempre più attenti alla riscoperta delle tradizioni locali in chiave contemporanea e a preservare e perpetuare le risorse già presenti. Una sfida difficile, sia contro il tempo che contro interessi economici enormi, ma quanto mai necessaria, dal momento che il patrimonio storico e culturale non è semplicemente un edificio, una piazza o una bella architettura da mantenere. È molto di più: è l’anima più profonda e non negoziabile di una città.
(Federico Monica)
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