Umoja, il villaggio del Kenya dove le donne sono libere dalla violenza di genere
10 Luglio 2023 – 20:58

Africa, 10 luglio 2023
di Claudia Volonterio
C’è un luogo sicuro in Kenya dove tante donne si sono rifugiate negli anni per proteggersi da ogni forma di violenza di genere, tra cui stupro, mutilazioni genitali femminili, abusi …

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Non sempre l’Africa subisce la storia

a cura di in data 2 Luglio 2023 – 22:08Nessun commento

 

Africa, 2 luglio 2023

di Marco Trovato – Direttore editoriale Rivista Africa

Ogniqualvolta in Africa divampa una crisi politica e umanitaria, nel mondo giornalistico si rinnova la necessità di trovare chiavi interpretative e narrative che aiutino a capire i motivi di conflitti, colpi di stato, rivolte di piazza. L’urgenza di raccontare i fatti può spingere a semplificare se non banalizzare vicende complicate in storie e regioni del mondo di cui poco o nulla si sa. Spesso si rispolverano i cliché delle lotte tribali o delle guerre di religione. E si torna ad evocare gli interessi delle potenze straniere che sarebbero all’origine delle violenze (un refrain – quello delle responsabilità esterne – che ha l’effetto di deresponsabilizzare gli africani stessi, come dimostrano certi governanti delle ex colonie francesi che riconducono le colpe dei loro fallimenti, sempre e comunque, alle ingerenze di Parigi).
L’ultima volta è capitato con il Sudan. All’indomani dello scoppio dei combattimenti tra esercito regolare e forze paramilitari a Khartoum, i media si sono affrettati a dare ampio risalto alla presenza dei soldati russi della Wagner, insinuando che dietro le violenze ci fosse lo zampino di Mosca. È innegabile che la Russia abbia interessi in Sudan e che la sua influenza militare sia cresciuta negli ultimi anni. Ma ciò non fa di Putin il regista di questa guerra. Del resto, sono innumerevoli i Paesi con interessi economici e strategici in Sudan, cerniera tra Africa nera e mondo arabo, corridoio naturale per ogni genere di traffico nella direttrice nord-sud (oro, petrolio… e migranti che l’Unione Europea vorrebbe bloccare alle sue frontiere).

Combattimenti a Khartoum.
Foto:AFP

In Sudan sono attivissimi (con imprese e apparati di intelligence) anche Emirati Arabi Uniti, Cina, India, Egitto, Turchia, Arabia Saudita. Persino gli Usa, che pure avevano inserito il Paese nella lista nera degli Stati canaglia, sottoponendolo a un pesante embargo sotto il regime di Omar al-Bashir, non hanno mai rinunciato a fare affari con Khartoum. Pecunia non olet: il denaro non puzza. Neanche la gomma arabica. Il Sudan è il primo produttore al mondo di questa resina naturale, utilizzata come addensante e stabilizzante nell’industria alimentare. Non è un caso che le sue esportazioni non siano mai state bloccate: senza gomma arabica non si potrebbero produrre Coca-Cola e Pepsi (gli analisti americani hanno coniato una definizione caustica: «Soda pop diplomacy»).
Chiarito che tutti i grandi attori della politica internazionale e le multinazionali ad essi legate sono comprensibilmente interessati ai destini del Sudan – e pertanto non hanno tardato a posizionarsi, in base ai propri calcoli, dall’una o dall’altra parte del campo di battaglia, contribuendo ad alimentare la crisi –, va preso atto che questa guerra, come molti altri conflitti africani, non è originata da oscure trame internazionali: è innescata da cause endogene, nella fattispecie riconducibili alla contesa del potere dei leader dei due schieramenti, entrambi farabutti sanguinari. In Sudan non ci sono i buoni contro i cattivi. Né grandi burattinai stranieri che hanno mosso per primi i fili della crisi. Ci sono la spietatezza e la miseria umana di due generali e la sofferenza della popolazione, l’unica che meriti la nostra vicinanza. Bisogna prenderne atto: l’Africa non sempre subisce gli eventi manovrati sulla sua testa dalle grandi potenze. Non è inerte e passiva. È in grado di scriverla da sé, la storia. Anche le pagine peggiori.

(Marco Trovato – Direttore editoriale Rivista Africa)

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