Facciamo tempesta per fermare la follia di Netanyahu
Critica sociale, settembre 2025
di Giorgio Pagano
Scrivo nel giorno in cui Benyamin Netanyahu ha lanciato l’operazione “Super Sparta”, l’offensiva di terra per distruggere e occupare Gaza city, attesa da settimane, da quando il premier israeliano ha sbarrato la strada a un accordo di tregua e di scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. Ma Sparta non c’entra nulla: quella in atto non è una storia di eroismo, ma dell’inferno aperto su una terra già martoriata.
Nello stesso giorno la Commissione indipendente di inchiesta dell’ONU sui Territori palestinesi occupati ha certificato il genocidio in corso a Gaza:
“Sulla base di prove pienamente conclusive, la Commissione ritiene che le dichiarazioni rilasciate dalle autorità israeliane costituiscano una prova diretta di intento genocida. […] la Commissione ritiene che l’intento genocida fosse l’unica deduzione ragionevole che si potesse trarre dal modello di condotta delle autorità israeliane”.
Nel Rapporto della Commissione si legge che il governo israeliano ha voluto e vuole “uccidere il maggior numero possibile di palestinesi”. Il Rapporto sostiene inoltre che il crimine di guerra di Hamas del 7 ottobre 2023 “non rappresentava una minaccia esistenziale per Israele” e che quell’evento va inserito dentro una storia di lungo periodo e delle responsabilità in capo al regime israeliano: “Israele era ed è responsabile della protezione della sua popolazione, ma i mezzi per farlo devono tenere conto del fatto che ha preso con la forza e sta occupando e colonizzando illegalmente il territorio palestinese con violenza continua, negando il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese”.
Una storia di lungo periodo, che secondo la Commissione ONU fa cadere la maschera dagli obiettivi ufficiali di Tel Aviv: liberazione degli ostaggi, neutralizzazione di Hamas ed esercizio di autodifesa hanno permesso di nascondere gli scopi reali, la “vendetta e punizione collettiva” e il proseguimento di “decenni di occupazione illegale, con segregazione razziale o apartheid, sotto un’ideologia che richiedeva l’espulsione della popolazione palestinese dalle proprie terre e la sua sostituzione”.
Di fronte a ciò che accade il silenzio di quasi tutti i governi europei e delle istituzioni internazionali pesa come una grave complicità. Parlare genericamente di “tregua” o “cessazione delle ostilità” è esercizio di ipocrisia. Il barcamenarsi del governo italiano è intollerabile. Serve nominare i responsabili, imporre a Israele un embargo sulle armi, sospendere ogni accordo di cooperazione commerciale e militare, garantire la protezione assoluta delle Freedom Flotilla, aprire corridoi umanitari immediati. Israele deve essere costretta a ritirarsi e deve rientrare in gioco l’ONU, con una forza di interposizione che assuma l’amministrazione provvisoria della Striscia, con una missione civile e militare che restituisca alla popolazione di Gaza la speranza della vita. Fino agli esiti di una Conferenza di pace sotto l’egida dell’ONU.
Cos’altro deve accadere prima che il mondo scelga di fermare Netanyahu e la sua guerra di sterminio?
In Italia la somma di tutte le iniziative è molto grande e radicata in tante realtà locali: anche nei piccoli paesi si vedono le bandiere palestinesi. Non siamo la Spagna, dove il movimento ha l’appoggio del governo socialista, ma non siamo più il paese della letargia collettiva. Certo, perché il movimento abbia la forza di quello per il Vietnam occorrono una maggiore mobilitazione dei giovani e dei lavoratori, e servirebbe il centro organizzatore di grandi partiti della sinistra popolare in tutta Europa, per un grande movimento europeo. Ma intanto battiamoci: “da soli siamo fragili come le ali di una farfalla, ma uniti – solidi e solidali – possiamo fare una tempesta”, ha ricordato Francesca Albanese. Ogni nostro più piccolo gesto è un battito d’ali che innesca una catena di conseguenze.
Scioperiamo, manifestiamo, boicottiamo l’economia israeliana, imponiamo sanzioni con la lotta popolare, come hanno iniziato a fare i portuali: non un chiodo parta per Israele. E sosteniamo le Freedom Flotilla, vigilando sulla missione e sull’incolumità degli equipaggi. Pronti a mettere anche i nostri corpi a difesa dei loro. Facciamo tempesta, per fermare il genocidio e per far sì che sia l’ultimo nella storia dell’umanità.
Giorgio Pagano
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