Umoja, il villaggio del Kenya dove le donne sono libere dalla violenza di genere
10 Luglio 2023 – 20:58

Africa, 10 luglio 2023
di Claudia Volonterio
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Erdogan ha un problema con la Siria e si chiama Iran

a cura di in data 15 Giugno 2022 – 21:43Nessun commento

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi
FOTO AP

Domani, 15 giugno 2022,
di Mario Giro (politologo)

Il ritorno sunnita

L’idea di invadere nuovamente la Siria settentrionale continua a essere una priorità per la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco insiste nel suo programma anche perché la guerra in Ucraina offre ad Ankara una buona occasione per regolare definitivamente i conti con i curdi siriani, ridefinendo allo stesso tempo il ruolo turco nell’intera regione mediorientale. Il piano è di occupare una “zona di sicurezza” di trena chilometri di profondità all’interno del territorio siriano, spazzando via le aree controllate dai curdi. Alla ricerca del via libera di Erdogan ha dichiarato: “Speriamo che nessuno dei nostri veri alleati o amici si opponga a queste legittime preoccupazioni di sicurezza del nostro paese”. La Turchia è nel mezzo di una crisi economica con un’inflazione che ha superato il 70 per cento, su cui gravano gli oltre 3,6 milioni di rifugiati siriani. Il leader turco vorrebbe farne uscire una parte per reinsediarli nella striscia. Data la guerra in Ucraina, dal canto suo Mosca tenta di rimanere in bilico non opponendosi frontalmente ad Ankara anche se l’idea di un nuovo push turco nella regione non le piace. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato: “Comprendiamo appieno le preoccupazioni dei nostri amici per le minacce create ai loro confini”. Secondo i media arabi il riferimento alle “forze esterne” è una frecciata alla presenza militare statunitense in Seria (900 uomini) e al sostegno americano alle Sdf curde. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere alla Turchia la loro ferma opposizione a qualunque mossa offensiva in Siria. Il dipartimento di stato ha chiesto alla Turchia di rispettare le linee del cessate il fuoco.

Il ruolo dell’Iran
Tuttavia i veri problemi per Erdogan stanno venendo dal terzo partner del lungo processo di risoluzione della guerra siriana: l’Iran. Con interessi regionali sempre più divaricanti, Turchia e Iran sembrano destinati ad uno scontro diretto, con Teheran che si oppone militarmente al piano di Ankara. Gli iraniani stanno inviando rinforzi nei due insediamenti sciiti a nord-ovest di Aleppo, non lontano dall’area messa nel mirino da Ankara, cercando così di dissuadere la Turchia dal fare la sua mossa. Per ora Teheran non sembra avere successo: nella zona di Idlib gli alleati siriani filo-turchi dell’esercito libero (Fsa) stanno completando i preparativi per l’operazione militare e sono in mobilitazione generale. Nessuno ancora sa se l’offensiva si svolgerà contro le città di Tal Rifaat e Manbij (i principali obiettivi turchi) o a est dell’Eufrate. Vengono diffusi video sui social che mostrano migliaia di combattenti delle Fsa prendere parte ad esercitazioni e manovre. Alla preparazione militare si è aggiunta anche la mobilitazione dei civili: il 5 giugno nella città di Azaz sotto controllo turco, c’è stata una manifestazione di sostegno alla prevista operazione militare turca a cui hanno preso parte sfollati provenienti dalle aree controllate dai curdi della zona a nord di Aleppo. I manifestanti chiedevano di poter tornare nelle loro case a Tal Rifaat e nei villaggi controllati ora dai curdi. Dal 2016 più di 250mila sfollati arabi vivono nei campi vicino ad Azaz. E’ esattamente ciò che teme Teheran: il “ritorno sunnita” nella regione. Pare che l’Iran abbia inviato una delegazione dell’intelligence militare ad Ankara per trasmettere le proprie obiezioni. L’ostilità tra i due paesi si sono approfondite in questi ultimi anni su diversi scenari: oltre che in Siria anche in Iraq, Libano e Yemen. Esiste poi il contenzioso sulla gestione dei rifugiati afghani. Ankara e Teheran sono schierate su posizioni opposte nella crisi politica irachena e sono in larvata ma costante competizione a Mosul, Kirkuk e nel Sinjar dove la Turchia sta già intervenendo militarmente. Teheran ha provato ad influire sulla parte sciita della minoranza turkmena per mettere in crisi il principale associato di Ankra in Iraq. Soprattutto l’Iran denuncia l’infiltrazione turca nel nord Iraq con operazioni all’inseguimento dei militanti curdi del Pkk (il partito dei lavoratori del Kurdistan).

Il riavvicinamento con Israele
Le milizie sciite sostenute dall’Iran hanno addirittura attaccato una base turca in quell’area, attirandosi accuse di complicità con i “terroristi” (così Ankara definisce il Pkk). Per rispondere a tale sfida la Turchia si è riavvicinata a Israele, con cui aveva congelato le relazioni fin dall’episodio dell’attacco nel 2010 alla nave turca Mavi Marmara della “freedom flottilla” che aveva provocato vittime turche. Ora Israele e Turchia hanno ripreso a parlarsi anche a seguito dei vari “accordi di Abramo” che stanno cambiando la carta geopolitica del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico a tutto svantaggio dell’Iran. Si sta formando un’asse arabo-israeliano con un nemico comune, Teheran, a cui la Turchia cerca di associarsi riavvicinandosi anche all’Arabia saudita. E’ il motivo per cui si è girata la pagina sui dissapori tra Riad e Ankara a proposito del sostegno di quest’ultima al movimento dei Fratelli musulmani in Egitto e altrove. Questo è il clima generale in cui si sviluppa l’aumento delle tensioni in Siria settentrionale. Nessuno si nasconde che per l’Iran la presenza militare della Turchia nel paese rappresenti un serio problema: i media iraniani la descrivono come una vera e propria invasione sunnita, accusando Ankara di puntare alla manipolazione demografica a scapito dei curdi e gettando le basi per l’annessione de facto di porzioni di territorio siriano. Un’eventuale occupazione turca di Tel Rifaat ad esempio, minaccerebbe i vicini insediamenti sciiti di Zahra e Nubl a ridosso della città di Aleppo. Teheran vuole evitare l’avvicinamento turco alla capitale del nord della Siria, da cui tra l’altro provengono le milizie filo-turche espulse verso Idlib dopo la loro sconfitta. Le forza governative siriane e le milizie sciite alleate nella regione sono coadiuvate da consiglieri dei pasdaran iraniani. Paradossalmente anche il governo di Damasco sta inviando armi e rinforzi ai curdi dello Ypg (unità di protezione del popolo curdo) che non vedeva certamente di buon occhio fino a poco tempo fa.

Ramo d’olivo
L’Iran aveva già adottato una simile linea dura nei confronti dell’operazione turca “ramo d’olivo” del 2018, quando Ankara aveva occupato Afrin. In tale contesto ci si chiede se avverrà uno scontro diretto tra Turchia e Iran in nord Siria. C’è da dire che Teheran diffida fortemente delle intenzioni delle milizie siriane filo-turche dopo che un gruppo jihadista aveva assediato i villaggi sciiti nei pressi di Idlib. Quell’episodio del 2018 si risolse con uno scambio: l’evacuazione degli sciiti in cambio della liberazione di 1.500 oppositori del governo dalle carceri siriane. Anche i villaggi di Zahra e Nubl, al centro dell’attuale crisi, hanno già subito l’assedio delle forze filo-turche tra il 2013 e il 2016, fino a che le Ypg curde erano riuscite ad impadronirsi di Tel Rifaat e dei suoi dintorni, sbloccando l’accerchiamento. Oggi il controllo congiunto curdo e del governo siriano di Tel Rifaat e dei suoi ditorni impedisce ai ribelli filo-turchi di Idlib di usare la zona controllata da Ankara per accedere nuovamente alla regione di Aleppo da cui sono stati cacciati. Secondo forni di al Monitor, nei villaggi di Zahra e Nubl sono addirittura presenti gruppi formati ed equipaggiati da Hezbollah libanese. Dal canto suo la Turchia vuole reagire agli attacchi dei curdi contro Afrin e riportare a casa loro i rifugiati fuggiti dalla città. Una mediazione russa potrebbe diminuire il rischio di scontro diretto tra turchi e iraniani ma Teheran rimane piuttosto impermeabile: da qualche tempo si sente messa da parte come co-garante del processo trilaterale di Astana sulla Siria.

(Mario Giro)

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