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A Gaza Israele distrugge i mezzi di sussistenza della popolazione

a cura di in data 1 Luglio 2025 – 00:06Nessun commento

Le Monde, 25 giugno 2025

Più del 95% delle terre agricole sono state danneggiate o si trovano in zone inaccessibili agli agricoltori, mentre l’enclave è piegata dalla carestia.

di Clothilde Mraffko

Alla fine dell’inverno, quando si era nel pieno del raccolto delle fragole, la fattoria di Akram Abou Khoussa e dei suoi fratelli era un’attrazione turistica popolare. Il loro ettaro e mezzo di terra proprio a nord, a Beit Lahia sembrava un paradiso campestre, lontano dal fitto tessuto urbano di Gaza. Prima degli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, le famiglie venivano a bere un succo di fragola o a passeggiare nei campi. La famiglia coltivava cetrioli, pomodori, angurie e patate, ma ricavava la quasi totalità del suo reddito dalle fragole. Akram Abou Khoussa ne produceva una quarantina di tonnellate all’anno, che vendeva fino a 30 shekel (7,5 euro) al chilo fuori dal mercato locale nel pieno della stagione. Dal 2015 le fragole erano la frutta autorizzata all’esportazione nell’enclave palestinese sotto blocco israeliano. Inondava le bancarelle della Cisgiordania – 185 ettari erano riservati alla sua coltivazione a Gaza, principalmente a Beit Lahya.

«Si viveva benissimo. Mai sono mancate le fragole, ne congelavamo una parte», riassume l’agricoltore, raggiunto per telefono da Le Monde nel centro di Gaza dove è stato costretto ad evacuare con la sua famiglia. Le autorità israeliane proibiscono l’accesso della stampa alla striscia di Gaza da ventun mesi. “All’inizio della guerra, la fattoria è stata distrutta, i campi, la mia casa e quelle dei miei fratelli.” Il contadino di 58 anni è fuggito con i suoi nei primi giorni successivi al 7 ottobre. Le sue terre, a due chilometri soltanto dal territorio israeliano erano particolarmente esposte. Beit Lahya, una città di un po’ meno di 100 000 abitanti, è stata metodicamente svuotata dalla sua popolazione e ampiamente distrutta dall’esercito israeliano. Le immagini satellitarie fanno vedere interi quartieri rasi al suolo. Il verde dei campi lungo la frontiera di Gaza è sparito – l’insieme dell’enclave è grigiastro, colore delle rovine.

Approfittando della tregua entrata in vigore il 19 gennaio, Akram Abou Khoussa è tornato a casa. Nonostante la devastazione, ha ripulito i suoi campi, li ha preparati per la semina. Alcune settimane più tardi, il 18 marzo, “è tornata la guerra, più difficile di prima”, racconta il contadino. Israele ha unilateralmente rotto la tregua con una serie di bombardamenti particolarmente micidiali. Beit Lahya è oggi situata in una «zona di combattimenti pericolosa”, secondo la mappa dell’esercito israeliano. E Akram Abou Khoussa è tornato nel centro di Gaza. Sono due anni che non ha assaggiato una fragola.

Prima del 7-ottobre, l’agricoltura rappresentava il 10% dell’economia di Gaza. Più di 500.000 Palestinesi vivevano unicamente della produzione agricola, dell’allevamento o della pesca. In aprile, solo il 4,6% della superficie totale delle terre agricole (688 ettari) erano ancora coltivabili e accessibili, secondo un’analisi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione (FAO) e il Centro satellitario dell’ONU (Unosat) pubblicata il 26 maggio. “Quel livello di distruzione non è soltanto una perdita di infrastrutture, è un crollo del sistema agroalimentare e delle linee di vita di Gaza”, ha commentato Beth Bechdol, direttrice generale aggiunta della FAO. Le terre coltivate, le serre e i pozzi essendo stati distrutti, la produzione alimentare locale si è arrestata.”

Il bestiame è decimato

Il 12 novembre 2024, La FAO stimava che quasi il 95% del bestiame grosso e più della metà di pecore e capre erano decimati. La “zona cuscinetto” creata e qualificata come “essenziale” dall’esercito israeliano per “impedire al nemico di condurre attività terroristiche offensive” in territorio israeliano, coinvolge la maggior parte delle terre agricole situate lungo la frontiera dell’enclave. L’argomento securitario cancella la realtà delle popolazioni palestinesi civili: da mesi Gaza soffre la fame.

È una guerra di sterminio, scandisce Abou Khoussa. Non c’è più merce al mercato e l’unica soluzione è l’aiuto umanitario. Ma coloro che vanno a cercare i pacchi alimentari rischiano di non tornare, molti sono stati uccisi.” La stragrande maggioranza dell’assistenza umanitaria è oggi distribuita, in quantità insufficiente, dalla Gaza Humanitarian Foundation, opaco ente che agisce sotto l’egida di Israele con mercenari americani. Più di 400 Palestinesi sono stati uccisi nei pressi dei suoi centri di distribuzione dall’avvio il 27 marzo, secondo il ministero della sanità locale.

A nord della città di Gaza, prima della guerra, lungo la strada che costeggia il Mediterraneo, nel campo di rifugiati Al-Chati (“la spiaggia” in arabo) i pescatori riparavano le loro reti o facevano asciugare i loro vestiti al sole dopo una nottata in mare. Una infima minoranza continua ancora oggi ad avventurarcisi, “in piccole imbarcazioni a remi, senza motore, vicinissimo alla costa, descrive Zakaria Baker, responsabile sindacale per i pescatori di Gaza in seno all’Unione dei Comitati di lavoro agricolo (UAWC) raggiunto via telefono nel campo. E ogni giorno gli sparano addosso”. Il 16 giugno, due pescatori, Nour Al-Hisseh e Zaid Taroush sono stati uccisi da un obice israeliano; altri quattro sono stati feriti, di cui uno grave. Circa 210 pescatori sono stati uccisi in venti mesi, fra cui 60 mentre erano al lavoro, riferisce Baker.

La devastazione è totale

A metà maggio, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) descriveva uno “schema sistematico dell’esercito israeliano contro i pescatori di Gaza, con spari sui pescatori in mare da parte della marina israeliana (INF), così come attacchi mirati da droni 5UAV) in mare e in terra”. In numerose occasioni, i pescatori sono stati bersaglio senza avvertimento. La costa di Gaza “è attualmente considerata zona di combattimento”, ha spiegato a Le Monde l’esercito israeliano, ricordando che dei fuoribordo sono stati utilizzati nell’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas.

Lungo la costa di Gaza i pescatori erano concentrati in cinque località. Quella all’estremo sud, a Rafah, è stata rasa al suolo come il resto della città. Nell’estremo nord dell’enclave non rimane nessuna barca o infrastruttura. Nella città di Gaza dove lavoravano la metà dei pescatori e dove si trovavano i due terzi delle loro imbarcazioni, “il quarto giorno della guerra, le forze d’occupazione hanno bombardato il porto [l’unico dell’enclave] con i loro F-16, tagliandolo in due e scavando un cratere di circa 20 metri”, racconta Zakaria Baker. Battelli, industrie conserviere, il mercato del pesce… tutto è stato devastato. Le fattorie di allevamento di pesce sono fuori uso da tempo.

Prima del 7 ottobre già, Israele aveva ridotto la produzione agricola e la pesca a Gaza. Nel 2007 lo Stato Israeliano impose uno stretto blocco all’enclave dopo l’arrivo al potere di Hamas. I campi di Akram Abou Khoussa erano stati distrutti dai bulldozer o i bombardamenti almeno a sei riprese, a partire dal 2001, prima ancora del blocco e dell’evacuazione delle colonie e delle basi israeliane dall’enclave nel 2005. L’esercito israeliano vietava già ai Palestinesi l’accesso alle terre vicino alla barriera che separa Gaza dal territorio israeliano. Tra il 2020 e il 2022 l’ONG palestinese di difesa dei diritti umani Al-Mezan ha censito almeno 19 Palestinesi uccisi e 159 feriti da spari israeliani. Israele ha riconosciuto di aver sparso pesticidi sulle coltivazioni vicine al suo territorio.

«Punire la popolazione”

Fin dal 2002 la zona di pesca a Gaza era stata ridotta “da 20 miglia a 6”, ricorda Zakaria Baker. Israele la modificava regolarmente in modo arbitrario. “Gli scopi dell’occupazione [israeliana] erano chiari: impedire ai pescatori di garantire i bisogni alimentari degli abitanti della striscia di Gaza, denuncia il responsabile sindacale. Utilizzavano il cibo per punire collettivamente la popolazione e imporsi come l’unico dispensatore dei mezzi di sopravvivenza a Gaza.”

Insieme alla distruzione delle terre agricole e dei mezzi di produzione, alle restrizioni degli aiuti umanitari, i ripetuti attacchi al settore della pesca di Gaza “da parte dell’esercito israeliano hanno contribuito direttamente al rischio di carestia, constata il rapporto dell’OHCHR, creando delle condizioni che minacciano la sopravvivenza della popolazione di Gaza”. Questa conclusione, cui si aggiungono tra l’altro gli attacchi indiscriminati da più di venti mesi che hanno ucciso più di 55.700 Palestinesi, di cui una maggioranza di civili, le distruzioni dantesche e gli spostamenti coatti di quasi tutta la popolazione, ha condotto più organizzazioni di difesa dei diritti umani e dei ricercatori specialisti del problema ad accusare Israele di “commettere un genocidio” a Gaza.

Clothilde Mraffko

Il testo è stato tradotto da Hélène Colombani Giaufret

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