Perchè Israele non sa terminare una guerra
Le Monde, 14 luglio 2025
di Jean-Pierre Filiu (Professore all’università Sciences Po)
Lo Stato di Israele è stato creato nelle sue attuali frontiere, ossia il 77 % di ciò che fino allora era la Palestina, al termine di una guerra fondatrice di un po’ meno di otto mesi, nel 1948-1949. Il giovane esercito israeliano ha allora trionfato dei cinque eserciti arabi venuti dall’Egitto, dalla Siria, dalla Transgiordania, dall’Iraq e dal Libano per attaccarlo.
Questa prima guerra israelo-araba, chiamata «guerra d’indipendenza» in Israele e «guerra di Palestina» in arabo, è stata seguita dall’espulsione di più della metà della popolazione araba di Palestina, una buona parte della quale si è rifugiata nella regione di Gaza, sotto la protezione dell’esercito egiziano. L’esercito israeliano ha allora tentato una manovra di accerchiamento penetrando in territorio egiziano, un’incursione osteggiata dagli Stati Uniti che hanno imposto un cessate il fuoco. Non solo tale intervento americano ha segnato l’avvento di una “striscia di Gaza” ma ha costituito un precedente d’interventi riuscito, laddove l’esercito israeliano, lasciato a se stesso, sembra incapace di porre fine alle ostilità.
La seconda guerra israelo-araba, nell’ottobre 1956, è l’unica in cui l’esercito israeliano non combatte da solo, ma in coalizione con la Francia e il Regno-Unito, decisi ad abbattere in Egitto il regime del colonello Nasser che ha osato nazionalizzare il canale di Suez. Gli Stati Uniti costringono i tre aggressori a sospendere le ostilità, prima di costringere Israele ad evacuare i territori occupati, ivi compresi la striscia di Gaza, nel marzo 1957.
Delle guerre brevi, tuttavia più favorevoli a Israele
Lo stesso schema di concatenazione viene ripetuto nell’ottobre 1973, quella volta dopo diciotto giorni di un conflitto aperto da un’offensiva siro-egiziana.
L’invasione israeliana del Libano, nel marzo 1978, viene sospesa dopo alcuni giorni dagli Stati Uniti, decisi a fare da padrini alla prima pace israelo-araba, firmata, un anno dopo, tra Israele ed Egitto. Invece, la seconda invasione israeliana in Libano, nel giugno del 1982, viene sostenuta da Washington, il che apre un conflitto che dura diciotto anni. Oltre al sostegno americano all’occupazione da parte di Israele di parte del Libano, la durata eccezionale di quella guerra si spiega perché il bersaglio iniziale dello Stato ebraico, l’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP), non viene espulsa dal Libano che per essere sostituita da un avversario radicato in loco e molto più temibile, l’Hezbollah pro-iraniano.
Israele pone fine al conflitto decidendo di ritirare unilateralmente le proprie truppe dal Libano, nel maggio 2000. Ed è anche con un ritiro unilaterale, questa volta fuori da Gaza, che Israele pone fine, nel settembre 2005, ai cinque anni di insurrezione palestinese, chiamata “seconda intifada”.
I rischi di un militarismo cieco
I due ritiri che Israele ha rifiutato di negoziare fuori dal Libano e da Gaza sono fonti di una instabilità strutturale, nonostante un rapporto di forze schiacciante a favore dello Stato ebraico. Il fronte libanese viene di nuovo aperto nel luglio 2006 per una “guerra dei trentatré giorni”, che soltanto gli Stati Uniti e la Francia riescono a sospendere.
Il blocco imposto da Israele per sedici anni alla striscia di Gaza dopo la presa di controllo da Hamas, nel giugno 2007, non impedisce un ciclo di confronti devastatori per l‘enclave palestinese, nel 2008-2009, nel 2014 e nel 2021. Queste “guerre di Gaza” si concludono dopo una o più settimane con un cessate il fuoco sotto l’egida dell’Egitto, sotto la pressione degli Stati Uniti, ma senza negoziati diretti tra Israele e Hamas. Colpisce il contrasto con la “prima intifada”, la ribellione non armata della popolazione palestinese dal 1987 al 1993, che aveva avuto come sbocco dei negoziati diretti tra Israele e l’OLP e un autentico processo di pace israelo-palestinese.
Benyamin Netanyahu, l’attuale primo ministro israeliano, aveva già sabotato un simile processo di pace durante un precedente passaggio a capo del governo, dal 1996 al 1999. Egli ha trovato nella guerra contro Gaza, diventata fine a se stessa, il mezzo più sicuro di sfuggire alle molteplici procedure giudiziarie che lo colpiscono. Egli alimenta pe ciò il traumatismo profondo che hanno lasciato nella società israeliana gli attacchi di Hamas, il 7 ottobre 2023. Ed alimenta tanto più tale traumatismo che rifiuta di concedere la priorità alla liberazione degli ostaggi israeliani, preferendo un’escalation senza fine il cui impatto è spaventoso per la popolazione di Gaza. Ma Benyamin Netanyahu si è sbarazzato nell’autunno 2024 del suo ministro della difesa, poi dei generali che si opponevano al prolungamento del conflitto senza obiettivo militare chiaro. Questa fuga in avanti si è aggravata con la guerra iniziata, il 13 giugno contro l’Iran, guerra conclusa, dodici giorni più tardi, dopo un intervento inedito degli Stati Uniti a fianco di Israele.
Per quanto riguarda la guerra in corso contro Gaza, essa è entrata nel suo ventiduesimo mese, senza altra prospettiva di soluzione se non una tregua che sarebbe altrettanto fragile delle due precedenti. Se la storia ci illumina a questo proposito, è che il governo israeliano non potrà essere convinto, ma dovrà essere costretto a porre termine alle ostilità.
Jean-Pierre Filiu
Il testo è stato tradotto da Hélène Colombani Giaufret
33 total views, 3 views today