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L’arte africana e il dominio coloniale

a cura di in data 22 Gennaio 2022 – 22:18Nessun commento

Africa, 22 Gennaio 2022
Il dominio coloniale europeo sul suolo africano si caratterizzò anche per il prelievo delle opere d’arte. Una ferita ancora aperta che getta ulteriori ombre sul modus operandi dei colonizzatori.
di di Federico Pani (Centro studi AMIStaDeS)

Nel novembre dello scorso anno il presidente francese Emmanuel Macron ha siglato un accordo con il suo omologo del Benin, Patrice Talon, per la restituzione di ventisei opere d’arte prelevate dal Palazzo di Abomey dell’ex colonia francese. I pezzi, provenienti da una miniera di oggetti trafugati dalle forze francesi nel 1892, sono stati esposti al museo Quai Branly di Parigi durante la cerimonia che ha suggellato la restituzione con una stratta di mano tra i due Capi di Stato. La decisione segue le crescenti richieste africane rivolte ai Paesi europei per rimpatriare quello che viene definito un vero e proprio “bottino coloniale”.
Dalla sua elezione, avvenuta nel 2017, Macron si è comunque spinto oltre i suoi predecessori, promettendo la restituzione del patrimonio culturale africano entro cinque anni. Si stima che il Quai Branly annoveri all’interno della sua collezione oltre trecentomila oggetti e manufatti africani. I bronzi del Benin, una collezione composta da sculture e targhe intagliate in avorio, bronzo e ottone, hanno trovato spazio in oltre 160 musei sparsi in tutto il mondo: la più grande collezione, composta da 928 pezzi, si trova al British Museum di Londra; il Museo Etnologico di Berlino ne contiene 516; mentre un egual numero, 160, ne contengono il Weltmuseum di Vienna e il Metropolitan Museum of Art (Met) di New York.

Le questioni ancora irrisolte
Benché la restituzione rappresenti la più ingente che la Francia abbia mai fatto a un ex dominio coloniale, essa rappresenta soltanto una piccola parte delle cinquemila opere delle quali il Benin auspica il rimpatrio, e delle decine di migliaia presenti a tutt’oggi sul suolo francese. Si ritiene che circa il 90% del patrimonio culturale africano si trovi nel Vecchio Continente. Il solo museo Quai Branly custodisce circa settantamila oggetti africani: un rapporto del 2018 commissionato dal governo francese afferma che circa la metà di essi dovrebbero essere autorizzati al ritorno sul suolo africano. Seguendo l’esempio, il Smithsonian Museum of African Art di Washington ha deciso di rimuovere dall’esposizione i bronzi del Benin e sta progettando il rimpatrio dei manufatti. Il Fowlwe Museum dell’Università della California ha prospettato di intavolare un dialogo con le autorità nigeriane sul futuro di diciotto oggetti presenti nella sua collezione.
Oltre un secolo fa, la comunità agricola di Chibok, nel nord della Nigeria, ha combattuto una delle più importanti resistenze del continente africano al processo di colonizzazione. Le forze britanniche impiegarono ben tre mesi per piegare la resistenza della città: le frecce e le lance che i cittadini di Chibok avevano utilizzato contro gli inglesi furono poi raccolte e inviate a Londra dove ancora oggi vengono conservate.
Nel 2020 la Nigeria ha formato un organismo indipendente, il Legacy Restoration Trust, con il compito di gestire i negoziati con i musei stranieri, compiendo un enorme passo in avanti verso la restituzione delle opere al continente africano: non è un caso che da questo momento in avanti la Nigeria sia riuscita con successo a stipulare una serie di accordi per i rimpatri. Tuttavia, nonostante i rimarchevoli passi in avanti, le trattative, come ad esempio quelle con il British Museum, son spesso arrivate ad un punto morto, bloccate tanto dal British Museum Act (1963), quanto dal National Act (1983). Il Benin Dialogue Group, una rete di dialogo tra rappresentanti nigeriani e musei europei, incluso proprio il British Museum, si è prodigato in decenni di discussioni sulle modalità di rimpatrio dei manufatti, senza però raggiungere ancora dei risultati tangibili.

(Federico Pani)

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