Umoja, il villaggio del Kenya dove le donne sono libere dalla violenza di genere
10 Luglio 2023 – 20:58

Africa, 10 luglio 2023
di Claudia Volonterio
C’è un luogo sicuro in Kenya dove tante donne si sono rifugiate negli anni per proteggersi da ogni forma di violenza di genere, tra cui stupro, mutilazioni genitali femminili, abusi …

Leggi articolo intero »
Home » Rubrica - Diario do centro do mundo

Sviluppo a Sao Tomè, c’è spazio per le imprese italiane

a cura di in data 18 Agosto 2015 – 12:35Nessun commento
Diogo Vaz, struttura della roça, piantagione già coloniale    (foto Giorgio Pagano)

Diogo Vaz, struttura della roça,
piantagione già coloniale (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, Rubrica “Diario do centro do mundo”, 16 agosto 2015 – Sao Tomè e Principe è considerato un Paese vulnerabile, essenzialmente per la sua ridotta dimensione territoriale, per la sua insularità (che comporta costi più alti di trasporto), per la fragilità dei suoi ecosistemi e per la forte pressione umana esercitata sulle sue risorse naturali. Nonostante tutto, però, possiamo notare qualche segnale di sviluppo. Negli ultimi dieci anni c’è stato un miglioramento del reddito pro capite, per la prima volta dall’indipendenza, dovuto sia ai maggiori flussi di investimenti stranieri sia alla crescita, in un Paese che è sempre stato in prevalenza agricolo, dei settori dei servizi, dei trasporti, dell’edilizia e delle opere pubbliche, del commercio. Il terziario nel suo complesso rappresenta il 66,4% del PIB (il Prodotto Interno Bruto, cioè lordo); il settore secondario -l’industria- è cresciuto fino a rappresentare il 16,4% del PIB, mentre il settore primario -l’agricoltura, la pesca, l’allevamento- vi contribuisce per il 17,2%. Tuttavia i buoni dati macroeconomici non si traducono, necessariamente, in un miglioramento significativo della vita delle persone: anche a una semplice osservazione empirica, non pare proprio che la situazione della povertà sia migliorata. Nel Distretto di Lembà, dove opero, più del 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Il problema principale è quello del lavoro per i giovani, per l’assenza di una politica nazionale di impiego e di formazione professionale. Da qui derivano problematiche come la prostituzione, la tossicodipendenza, l’alcoolismo, le gravidanze delle adolescenti.

POTENZIALITA’ E RISCHI DEL PETROLIO

C’è chi spera nel petrolio: dai primi anni 2000 sono state scoperte significative riserve off-shore, nel Golfo di Guinea, di idrocarburi. Nel 2004 STP e la Nigeria hanno avviato una collaborazione finalizzata alla costruzione di piattaforme petrolifere, e l’anno successivo hanno siglato accordi con compagnie internazionali per l’esplorazione dei fondali. Nel 2009, inoltre, i due Paesi hanno creato una comune forza militare marittima per pattugliare le operazioni petrolifere off-shore. L’entrata in produzione di questi siti ancora in esplorazione è prevista per il 2016. Recentemente, inoltre, è stato scoperto il petrolio in una zona non più congiunta con la Nigeria, ma esclusiva di STP: l’Agenzia Nazionale del Petrolio ha già aggiudicato alcuni blocchi a compagnie straniere, perché comincino le esplorazioni. Certo, il petrolio porterà ricchezza. Ma a chi? E con quali conseguenze ambientali? Ancora: il Paese è preparato, sia nel settore pubblico che in quello privato, ad affrontare questa sfida? Il pensiero non può non andare alla vicina Guinea Equatoriale: un Paese straricco di petrolio ma in cui il 78% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, grazie a un regime dittatoriale tra i più feroci al mondo e alle protezioni di cui gode in Occidente. Su questi rischi sta crescendo, comunque, la consapevolezza: Cristina Dias, direttrice esecutiva dell’Agenzia, nel 2014 ha dichiarato che “eravamo sprovvisti di qualunque legislazione” e di “quadri formati”, ma che si sta rimediando a questi ritardi; e che “le compagnie petrolifere sono obbligate a finanziare progetti sociali nel Paese”. Negli ultimi dieci anni il petrolio ha reso al Paese 77,8 milioni di dollari. STP produce annualmente 5 milioni di dollari, e il bilancio generale dello Stato è valutato in 150 milioni di dollari, ma dipende in gran parte dagli aiuti finanziari di altri Paesi: il petrolio potrebbe essere una delle soluzioni per dare un’autonomia finanziaria a STP. A condizione che la gestione sia trasparente, che i benefici siano per tutti e non per pochi, e che l’ambiente sia salvaguardato.

IL PORTO DI ACQUE PROFONDE

Un altro filone di ragionamento per lo sviluppo del Paese è quello della cooperazione economica e dell’integrazione regionale, della sua complementarietà con i Paesi vicini. L’elaborazione degli schemi direttori della pianificazione regionale che mettono STP al centro di uno spazio geografico sembra fondamentale: qui si intravvedono le principali carte vincenti per aumentare la capacità attrattiva di STP nella regione e per permettere al Paese di sfruttarla al meglio. Da qui l’idea di costruire un porto di acque profonde nella parte nord dell’isola, dal costo di 500 milioni di dollari: il precedente Primo Ministro lo considerava essenziale per “trasformare STP in un centro di prestazione di servizi per l’Africa Centrale” e si era accordato con un’impresa cinese per la sua realizzazione. Il porto attuale di Ana Chaves, nella capitale, non ha infatti acque profonde: le navi si fermano al largo, poi ci si affida a chiatte. Ora c’è un nuovo Governo e il progetto è oggetto di un esame approfondito: abbiamo incontrato il Ministro dell’Economia Agostino Fernandez, che ci ha detto che il progetto del porto di acque profonde è “a bagnomaria” (l’espressione portoghese è analoga a quella italiana).

Spiaggia di Neves, pesce appena pescato (foto Giorgio Pagano)

Spiaggia di Neves, pesce appena pescato
(foto Giorgio Pagano)

LO SVILUPPO DELLE IMPRESE SAOTOMENSI

Il modello di sviluppo futuro di STP non potrà che essere, come del resto già oggi, diversificato e con più vocazioni: certamente ancora l’agricoltura, la pesca e l’allevamento; certamente l’industria, ma con un’attenzione alle risorse naturali tale da non ostacolare la vocazione terziaria, e turistica in particolare, che è diventata la più importante. E le imprese? Dovranno essere sempre più saotomensi, o frutto di una partnership tra lo Stato e le imprese di STP e le imprese straniere. Nell’agricoltura abbiamo visto come siano cresciute le cooperative locali (“La cooperativa del cacao biologico aiuta l’economia e migliora la vita”, 19 luglio); nella pesca come sia matura la collaborazione tra lo Stato e le imprese straniere, una collaborazione in grado di coinvolgere i pescatori artigianali locali (“La terra in cui il pesce è vita”, 6 luglio). Servono misure da parte dello Stato per sostenere le piccolissime imprese e le cooperative in campo agricolo: supporto alle attività di trasformazione, supervisione tecnica, incentivi fiscali, tassi di interesse agevolati, incoraggiamento del commercio equo-solidale… Per tutte le attività, sia svolte da imprese locali che straniere, serve un miglioramento di tutte le infrastrutture: acqua potabile, energia, strade, trasporti… E ovviamente le strutture sanitarie, il cui miglioramento è indispensabile per i cittadini ma anche per i turisti e per i lavoratori che si vogliono attrarre. E poi ancora: la qualificazione della mano d’opera, che richiede che la formazione professionale sia considerata un elemento fondamentale del sistema scolastico; la riforma della pubblica amministrazione, della giustizia e la semplificazione burocratica…

LO SPAZIO PER LE IMPRESE STRANIERE, IN PARTICOLARE ITALIANE

In un documento della Banca Africana di Sviluppo (“Environnement de l’Investissement Privé a Sao Tomè e Principe”, 2013), si raccomanda allo Stato di STP di “far leva in primo luogo sull’obbligo fatto all’imprenditore straniero di associarsi con un partner nazionale”. La strada, secondo la Banca, è quella del partenariato pubblico-privato a Sao Tomè, “la creazione di una piattaforma specifica di dialogo… che potrebbe articolarsi in un’altra, incaricata della promozione degli investimenti della diaspora e dei potenziali investitori stranieri”. Agricoltura e trasformazione dei prodotti agricoli, pesca, turismo balneare e rurale: lo spazio per le imprese italiane, in particolare liguri e toscane, le cui reti hanno firmato un protocollo d’intesa con STP, è evidente. Fanno ben sperare le parole pronunciate dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi ad Addis Abeba, alla Conferenza mondiale sulla Finanza per lo Sviluppo: l’obbiettivo è “far sì che al prossimo vertice G7 previsto in Italia nel 2017 il nostro Paese non sia più all’ultimo posto per ciò che concerne la percentuale del PIL destinata alla cooperazione internazionale”. Renzi ha inoltre parlato del ruolo della Cassa Depositi e Prestiti (CDP), a cui la nuova legge sulla cooperazione internazionale assegna la funzione di Istituzione Finanziaria Italiana per la cooperazione allo sviluppo. La CDP avrà la funzione di incoraggiare, tramite adeguati strumenti finanziari, la partecipazione del tessuto imprenditoriale ai programmi di cooperazione: finanziamento diretto di progetti di sviluppo per favorire l’imprenditoria locale e la costituzione di imprese miste, mettendo a disposizione del settore pubblico e privato finanziamenti, strumenti di risk sharing e capitale di rischio. Bene, ora si tratta di passare finalmente dalle parole ai fatti. Partiamo da una situazione disastrosa: siamo il fanalino di coda dell’Unione europea nel campo degli aiuti allo sviluppo, con un derisorio 0,16%; mentre “il sistema che si occupa di internazionalizzazione delle imprese italiane agisce come se la sua attività fosse un hobby” (dallo sfogo pubblico, qualche tempo fa, di un esponente del nostro Governo). Le associazioni in cui sono impegnato -Funzionari senza Frontiere e Januaforum- sostengono da tempo che alla dimensione, fondamentale e irrinunciabile, della solidarietà e dell’aiuto occorra affiancare l’impegno delle imprese, le loro iniziative, i loro investimenti, al fine di creare impresa, occupazione, sviluppo diffuso, nel rispetto dei diritti umani e del diritto degli agricoltori e produttori locali alla proprietà della terra e dei beni. Dovrà trattarsi di imprese responsabili e sostenibili economicamente ed ecologicamente, con particolare attenzione alle micro e alle piccole e medie imprese, allo sviluppo cooperativo, all’economia sociale, al credito diffuso, creando partenariati forti e duraturi e conciliando gli obbiettivi economici con quelli sociali, ambientali e del rispetto della dignità umana, così come stabilisce la nuova legge italiana sulla cooperazione internazionale e come raccomandano le linee Ocse sugli investimenti internazionali. Contro logiche neocoloniali, nell’interesse sia “nostro” che “loro”.

Giorgio Pagano

 417 total views,  1 views today