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La Siria si avvita nelle lotte tribali in attesa dell’invasione della Turchia

a cura di in data 10 Giugno 2022 – 11:59Nessun commento

I miliziani della Syria National Army, sostenuta dalla Turchia, in parata nei dintorni di Aleppo
FOTO AP

Domani, 10 giugno 2022,
di Mario Giro (politologo)

Gli altri fronti della guerra

Mentre pare prepararsi l’offensiva turca, ciò che accade a nord della Siria è già guerra che si prolunga in una serie diffusa di conflitti. A quello già noto tra curdi e turchi, si aggiunge lo scontro tra siriani lealisti di Bashar al Assad e siriani filoturchi. Negli ultimi mesi si è anche acutizzato il conflitto intestino tra questi ultimi – divisi in varie milizie – nell’area di Idlib.
La novità dell’ultimo anno è che il governo siriano cerca di espandere la propria influenza e rafforzare una presenza militare effettiva facendo affidamento sulle tribù arabe nella provincia di Hasakeh, tutt’ora sotto il controllo delle forze democratiche siriane (Sdf), cioè i curdi sostenuti dagli Stati Uniti.
Si tratta degli stessi che Ankara accusa di essere in combutta con il Pkk posizionato in Iraq, subito al di là della frontiera dove la Turchia sta combattendo già da qualche mese. L’idea di Ankara è collegare le due zone. Gli sforzi del governo damasceno per evitare questa eventualità sono sostenuti dagli alleati russi ed iraniani che ultimamente hanno rafforzato la loro presenza attorno all’area di Idlib per contenere (o soltanto controllare?) l’annunciata offensiva turca. La guerra in Ucraina esaspera anche la relazione tra forze americane e russe che si costeggiano nel nord est siriano.
Ogni tanto si assiste a una sorta di “gara” tra mezzi corazzati dei due paesi che si sfidano in pericolose manovre ravvicinate.

Armare le tribù
Per tutti la posta in gioco è comunque la stessa: il controllo di aree dove è difficile stabilire chi sia realmente in comando: la Siria settentrionale è diventata un puzzle complicato con presenze multiple e instabili, un terreno a pelle di leopardo di mezzi e uomini armati.
Il governo siriano ne approfitta per creare disordine e cercando di mettere gli uni contro gli altri come nel caso del governatorato di Hasakeh, dove c’è stato un aumento della tensione con le Sdf curde almeno dall’inizio del 2021. La novità è che ora le autorità siriane si rivolgono alle tribù arabe dell’area con la proposta di armarle, trasformandole in milizie (chiamate forze di difesa nazionale) come avvenuto già a Qamishli. L’obiettivo a lungo termine è aumentare la pressione per espellere progressivamente curdi e americani. Obiettivo a breve è costringere i turchi a non spingersi troppo oltre la loro zona di attuale supervisione. In questo modo il regime di Assad lancia un segnale ad Ankara rimettendo mano alla complicata trama delle tribuù e dei clan arabi sunniti dell’area.
Da anni non più sotto il controllo statale a causa della guerra che li ha visti in una prima fase appoggiare i ribelli jihadisti siriani, al Nusra (filiale di al Quaida) e poi soprattutto l’Isis. Tale controverso recente passato rende l’operazione azzardata e la campagna di reclutamento di volontari divide gli stessi clan creando dissapori. Secondo alcuni analisti si tratta di una mossa della disperazione perché il governo siriano teme di essere espulso dall’area di Hasakeh prima dell’eventuale arrivo dei turchi, i quali da settimane minacciano di invadere anche quella parte di Siria.

Aspettando Ankara
Il vero timore di Damasco è che, una volta installata, Ankara non molerebbe la presa. Meglio dunque cercare subito, con l’aiuto degli alleati russi e iraniani, di costruire una rete di relazioni con le tribù per rafforzare la propria presenza o, in alternativa, di creare un disordine tale da sconsigliare ai turchi di avvicinarsi.
Damasco ha compreso che la Turchia sta facendo di tutto per ottenere una benevola neutralità internazionale sulle sue prossime mosse in Siria e in Iraq, seguendo l’antico sogno di riprendere il possesso della fascia “ottomana” che da Aleppo si spinge fino a Mosul (magari senza le città ma occupando i territori attorno). Qualcuno pensa che Damasco miri anche a costruirsi un esercito tribale alleato che sia pronto a sostituirsi in caso di un improvviso ritiro degli Stati Uniti.
Si tratta di una gara contro il tempo a cui i curdi – vittime designate di tutti – cercano disperatamente di resistere.
Di fatto nessuno può affermare di avere il monopolio delle relazioni con le tribù e i clan arabi della zona: anche gli Stati Uniti sono in contatto con tale articolato mondo e offrono ciò che il governo siriano e i suoi alleati non possono garantire: una permanente mediazione tra tribù nelle loro storiche diatribe che le dividono da secoli, accompagnate da ingenti risorse da distribuire, che gli Usa posseggono mentre mancano del tutto a Damasco e ai suoi alleati. Inoltre questi ultimi non hanno la flessibilità e la sufficiente esperienza per trattare con le tribù arabe rispetto agli americani, i quali mettono in pratica tutto ciò che hanno appreso in Iraq. L’unica vera risorse nelle mani di Damasco è il caos: più ci sono combattimenti, scontri e dispute, meno è facile per gli Usa aiutare i curdi a mantenere l’area sotto controllo e ai turchi di prenderne il posto. Dall’inizio del 2022, a causa di tali controversie tribali, sempre accompagnate da interminabili faide, la tensione è salita di molto nei governatori di Hasakeh, Raqqa e Deir ez-Zor. Secondo dati siriani la provincia di Hasakeh è al primo posto per numero di morti derivanti da scontri clanici, mentre la provincia di Deir ez-Zor si è classificata seconda. Incidenti tra clan e famiglie sono all’ordine del giorno in un’area dove non esistono de facto né istituzioni né presenza stabile di forza dell’ordine strutturare. Le forze governative siriane assieme agli alleati (milizie iraniane e forze russe) controllano le aree ad over dell’Eufrate ed alcune zone della campagna di Qamishli.
A loro volta le forze di opposizione siriane supportate dalla Turchia controllano l’area di Ras al Ain a nord di Hasakeh e Tell Abyad. Il resto delle province di Deir ez-Zor, Raqqa, Hasakeh fino alla periferia di Aleppo, sono sotto il controllo dei curdi dell’Sdf a guida curda, appoggiate da americani e da un team di francesi.
La diffusione incontrollata di armi, droghe e commerci illeciti aumenta i tassi di criminalità e amplifica la competizione tra gruppi per il contrabbando. Tali urti a volte durano per giorni e portano ad un isolamento completo delle aree in cui si verificano le violenze, senza possibilità di intervento di terzi per risolverle.

Verso il caos
Clan e tribù nel nordest della Siria sono tradizionalmente molto divisi e cambiano di alleanze di volta in volta, in una situazione assai mutevole.
Precedentemente possedevano un sistema di governo autonomo alternativo (una specie di consiglio degli anziani delle tribù dedicato alla risoluzione dei contenziosi) che funziona sempre meno. Anche i curdi delle Sdf stanno tentando di attrarre dalla loro parte alcune tribù fedeli, supportandole sia socialmente che finanziariamente. Hanno persino liberato un certo numero di ex combattenti della Stato Islamico su richiesta degli stessi clan arabi. Sta di fatto che tutti i protagonisti della guerra nella Siria settentrionale stanno cercando di manipolare il tessuto clanico locale a proprio favore, aumentando così la profondità della crisi e la confusione generale.
La Siria è uno stato fallito e anche il governo centrale si comporta come se fosse una delle tante fazioni in lotta per il potere.
Anche nella zona controllata dai turchi le cose stanno precipitando con un’intensificazione della lotta intestina tra jihadisti. Scontri armati tra membri dell’esercito nazionale siriano (Sna) filo Ankara e alcuni gruppi radicali sono all’ordine del giorno. Infatti le stesse milizie della Sna sono formate su base locale e tribale: ogni tribù si raggruppa in una fazione e ne conserva il nome. Paradossalmente se anche le fazioni salafite, estremiste o jihadiste sfruttano le differenze tra i loro membri per trasformarle in dispute tribali, farebbero precipitare completamente l’area nel caos innescando un ciclo infinito di vendette. Su questo punta Damasco mentre Ankara cerca in tutti i modi di evitarlo.

(Mario Giro)

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