Vaccini scaduti o mai spediti Lo scandalo delle donazioni
Domani, 29 Marzo 2022,
di Ludovica Jona
Circa 350 milioni di dosi anti-Covid donate ai paesi poveri non sono mai state iniettate, molte sono finite in discarica. La ricostruzione delle forniture mette in luce le responsabilità di Big Pharma che rendono impossibile una risposta rapida alla richiesta di aiuto. Un problema che riguarda anche l’Italia che ha donato al Ruanda dosi che scadevano dopo 27 giorni
C’è un cielo brillante all’aeroporto di Kigali, capitale del Ruanda, il 4 ottobre 2021, quando un volo della Qatar Airways atterra con un carico speciale: 857mila dosi del vaccino AstraZeneca donate dal governo italiano. Ad accogliere le fiale c’è il direttore della campagna vaccinale Hassan Sibomana e Guillaume Kavaruganda, a capo del dipartimento che tiene le relazioni con l’Ue e le organizzazioni internazionali. Un tweet del ministero della Salute del governo guidato da Paul Kagame celebra l’evento senza però dire che 575.100 delle dosi appena scaricate – due terzi del totale – scadranno dopo appena 25 giorni, mentre le restanti hanno una validità di un solo ulteriore mese. Per beneficiare del dono del nostro governo, al piccolo stato centroafricano è richiesto di organizzare una campagna di vaccinazione imponente, da 25mila dosi al giorno. Aveva validità breve anche il milione e mezzo di dosi AstraZeneca recapitate il 1° agosto all’aeroporto di Tunisi nel corso di una cerimonia alla quale ha presenziato il capo dello stato, Kais Saied, insieme all’ambasciatore d’Italia in Tunisia, Lorenzo Fanara: sui lotti erano indicate date che andavano dal 30 settembre al 31 ottobre. Lo rivelano i contratti relativi ai trasferimenti di vaccini dall’Italia a Ruanda, Libia e Tunisia che Domani ha ottenuto tramite istanza di accesso agli atti rivolta al governo italiano. «I paesi a basso reddito hanno sistemi sanitari troppo fragili per riuscire a dispiegare una campagna vaccinale in tempi brevi», nota Sara Albiani, responsabile delle politiche per la salute globale di Oxfam Italia. «Ma nelle loro condizioni non ci saremmo riusciti neanche noi: per somministrare decine di migliaia di dosi contemporaneamente ci vuole una programmazione che non c’è in queste consegne».
Le cause e la lettera
Due settimane dopo l’arrivo a Kigali delle dosi in scadenza, a Bonn il segretario di Stato tedesco alla Salute Thomas Steffen ha scritto a Sandra Gallina, capo negoziatrice della Commissione Ue per l’acquisto dei vaccini Covid-19: «I produttori tendono a dettare agli stati membri e ai paesi beneficiari condizioni che rendono praticamente impossibile una risposta rapida di fronte alla richiesta d’aiuto internazionale », menzionando le «scadenze dei vaccini» e le «fluttuazioni delle quantità consegnate » come cause della fallimentare pianificazione delle campagne vaccinali nei paesi poveri. Nella missiva il politico tedesco definisce «inaccettabili» alcune richieste fatte dalle case farmaceutiche ai paesi beneficiari delle donazioni, lamentando come le industrie «sembrano avvantaggiarsi dell’obbligazione contrattuale a ottenere il loro consenso scritto, per ostacolare trasferimenti di vaccini che considerano pregiudiziali ai loro interessi».
I contratti e il caso Libia
In pratica, il contratto firmato dalla Commissione con le aziende farmaceutiche prevede che gli stati membri non possano gestire liberamente le proprie eccedenze. Pur essendo proprietari delle fiale gli è proibito regalarle ad altri paesi più bisognosi finché non hanno l’ok dell’azienda produttrice, attraverso la firma di un “accordo tripartito” con paese donatore e ricevente. Ma il benestare dell’azienda può anche tardare ad arrivare. Nel “contratto tripartito” relativo alla donazione di 240mila dosi alla Libia, la firma con timbro del ministro della Salute libico è stata apposta il 19 agosto 2021 mentre la sigla di AstraZeneca è arrivata, con l’applicazione “DocuSign”, solo il 23 settembre. Questo ritardo di un mese ha accorciato in maniera significativa l’intervallo di tempo tra l’arrivo delle fiale nel paese e la data di scadenza delle confezioni. Un periodo già breve in partenza, se consideriamo che le fiale di AstraZeneca hanno una validità di soli sei mesi. Le dosi in questione sono arrivate in Libia il 30 settembre, una settimana dopo l’ok dell’azienda, anche se il ministro degli Esteri Luigi Di Maio le aveva annunciate due mesi prima, nel corso di un incontro a Tripoli con il primo ministro Abdelhamid Mohammed Al-Dabaiba. Oggi in Libia solo il 16 per cento della popolazione è completamente vaccinata.
Le condizioni in nero
Tra le condizioni poste negli accordi tripartiti – basati su un modello standard preparato dalla Commissione europea per gli stati membri che vogliano donare o vendere parte delle proprie dosi – c’è l’obbligo per il paese ricevente di «essere vincolato come parte indennizzante »: lo stato, anche povero, deve farsi carico di risarcimenti per eventuali effetti avversi del siero. Questa clausola, contenuta anche nei contratti delle donazioni effettuate tramite il programma internazionale Covax, è una pretesa «ingiustificabile» secondo Medici senza frontiere, che ha denunciato come in alcuni stati «palazzi di ambasciate e basi militari sono stati presi a garanzia di eventuali casi legali». Gli accordi tripartiti impongono poi ai paesi riceventi di «rinunciare a qualsiasi pretesa nei confronti di AstraZeneca, relativa a: mancanza di sicurezza ed efficacia del vaccino», quando l’azienda abbia rispettato le buone pratiche di fabbricazione. Si aggiungono il divieto di rivendere le dosi e l’obbligo di attenersi ai requisiti di confidenzialità già imposti agli stati europei. C’è poi un’altra condizione – il punto b) – che il ministero della Salute ha annerito e leso illeggibile nelle scansioni dei contratti inviati a Domani. Il diniego all’accesso di questa parte dell’accordo tripartito è motivato dal ministero con la necessità di tutelare l’interesse pubblico relativo alle “relazioni internazionali”. In particolare, spiega la comunicazione che abbiamo ricevuto, «i documenti che forniscono dettagli ulteriori rispetto alla procedura, con particolare riferimento al processo di formazione della volontà dello stato – comprese le varie interlocuzioni anche per le vie brevi tra funzionari e tra esponenti di livello politico e diplomatico – non possono essere oggetto di generalizzata divulgazione». Non è chiaro però come una clausola standard di un contratto predefinito dalla Commissione europea sia collegabile alla formazione della volontà dello stato.
Dosi salvavita in discarica
Secondo i calcoli della società di analisi Airfinity, «del miliardo di dosi di vaccini anti-Covid donati ai paesi poveri nel 2021, solo il 65 per cento sono state effettivamente iniettate. Il restante 35 (350 milioni di dosi) si ritiene sia stato accantonato nei magazzini o sprecato». Come è avvenuto in Nigeria a dicembre, quando oltre un milione di dosi AstraZeneca, contenute nelle scatole con scritto “Vaxzevria”, sono state interrate dai bulldozer nell’immensa discarica a cielo aperto di Gosa, a dieci chilometri dal centro della capitale, Abuja. Come è stato possibile in un paese in cui solo il 4,2 per cento di popolazione è vaccinata? Le fiale distrutte facevano parte di un carico arrivato a ottobre con un volo aereo che trasportava 2,6 milioni di dosi del vaccino anglo-svedese, di cui 165.900 donate dall’Italia: sulle etichette erano indicate scadenze che andavano dalle quattro alle sette settimane di validità. «Non avevamo altra scelta che accettare, non essendoci altre dosi accessibili sul mercato», dice Faisal Shaibu, direttore dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dei servizi sanitari della Nigeria. «L’Agenzia nazionale del farmaco ha proceduto immediatamente a una serie di test per provare la qualità dei vaccini», ha spiegato il suo direttore generale, Mojisola Christianah Adeyeye. I lotti sono stati rilasciati tra i 19 e i 21 giorni successivi, poi inviati per raggiungere le diverse regioni del paese. Ma come emerge da un documento consultato da Domani, solo 1,5 milioni di dosi sono state iniettate entro la data di scadenza. Molti paesi a basso reddito hanno cominciato a rifiutare le donazioni, per evitare ulteriori difficoltà: «Ci sono i problemi conservazione delle dosi a basse temperature e poi dello smaltimento delle fiale scadute», dice Albiani di Oxfam.
Il ruolo della geopolitica
Oltre alle donazioni effettuate per via bilaterale, da governo a governo, nei confronti di Libia, Tunisia e Ruanda – tutti stati coinvolti nella gestione della crisi migratoria nel Mediterraneo – tra settembre 2021 e gennaio 2022, l’Italia ha donato quasi 38 milioni di dosi a 22 paesi tramite il programma internazionale Covax. Gli stati ai quali abbiamo donato di più sono: Indonesia con 6,2 milioni di dosi (tutte Pfizer e Moderna) e l’Egitto con 4,8 milioni (Johnson& Johnson e AstraZeneca). In una nota inviata a Domani, la Farnesina specifica che «la selezione dei paesi e delle quantità di dosi da allocare è definita dalla Joint Allocation Taskforce (Jat)» di Covax, che «valuta in maniera indipendente una serie di criteri tra cui la copertura vaccinale nel paese destinatario, la disponibilità di strumenti accessori per la somministrazione (ad esempio siringhe e diluenti) e la capacità complessiva di assorbimento dei vaccini ». Tuttavia, un articolo pubblicato sulla rivista Globalization and Health ipotizza che il fatto che tra il 10 e il 23 per cento delle dosi donate dall’Italia, Spagna, Giappone e Canada sia andato a paesi – come l’Egitto e l’Indonesia – in grado di finanziare il proprio acquisto di vaccini, possa «indicare che le dosi siano state tenute da parte per specifici destinatari», per interessi di politica estera da parte dei donatori. «Tutte le donazioni effettuate dalla Spagna, attraverso Covax, fino a novembre 2021, sono state destinate a stati latinoamericani con cui ha legami post-coloniali », nota l’autore Antoine de Bengy Puyvallée. L’autonomia nell’assegnazione dei lotti è stata messa in dubbio dallo stesso Iavg (Gruppo indipendente di allocazione dei vaccini) di Covax in un comunicato pubblicato a dicembre: «Molte delle dosi convogliate sono state destinate a paesi specifici, aggravando la sfida di raggiungere l’obiettivo di un accesso equo tra gli stati a basso reddito». Lo Iavg sottolinea poi i problemi creati dal fatto che «oltre 2/3 dei vaccini donati hanno una data di scadenza inferiore a tre mesi », come ha denunciato a dicembre anche il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus. «Questi invii dell’ultimo minuto, oltre ad aumentare in modo massiccio i costi di transazione, hanno aggiunto un notevole stress ai paesi già gravemente a corto di risorse, che devono far fronte a molte crisi sanitarie e umanitarie diverse», afferma la nota dello Iavg, spiegando come questi doni «abbiano minato gli sforzi dei governi per informare il pubblico sui vaccini e contrastare la disinformazione diffusa dai social media», facendo riferimento al fatto che l’arrivo di lotti di fiale prossime alla scadenza abbia favorito lo scetticismo nei confronti dei vaccini stessi. Una diffidenza che Albiani di Oxfam spiega anche col fatto che «vengono donate dosi di AstraZeneca a paesi in cui la popolazione ha un’età media molto giovane, da stati che per quelle fasce di età, quel vaccino lo hanno vietato!»
Scadenze e profitti
Il vaccino Covishield, un biosimilare del siero di AstraZeneca prodotto dal Serum Institute of India in base a un accordo con l’azienda, ha una durata di conservazione di nove mesi, tre in più dell’originale. Si tratta di 90 giorni che avrebbero potuto fare la differenza, evitando la distruzione e lo spreco di milioni di dosi. Ma l’Oms, che il 25 giugno ha autorizzato l’estensione della scadenza di Covishield da sei a nove mesi, fa sapere di non aver ricevuto da AstraZeneca un’analoga richiesta di prolungamento della validità delle fiale «malgrado i nostri incoraggiamenti ». L’Agenzia europea per i medicinali, Ema, spiega che al momento della prima immissione in commercio le date di scadenza indicate sulle confezioni erano brevi perché «i dati di stabilità dei vaccini Covid-19 erano limitati ». L’agenzia ha comunque autorizzato i prodotti, raccomandando però alle aziende di «presentare una richiesta di estensione della validità» una volta che fossero disponibili gli ulteriori studi sulla loro stabilità che avevano l’obbligo di fare. Tuttavia, precisa l’agenzia, «spetta alle aziende decidere se e quando» presentare tale richiesta. Mentre J&J, Pfizer e Moderna hanno successivamente chiesto di aggiungere rispettivamente ulteriori sette, tre e due mesi di validità, AstraZeneca non ha fatto alcuna domanda di estensione della scadenza delle fiale. L’azienda risponde alle nostre domande sulla ragione della mancata richiesta, affermando che questa richiede «un processo complesso di raccolta dati in tempo reale da 20 stabilimenti produttivi, per garantire che tutte le estensioni della durata di conservazione siano conformi ai più elevati standard di qualità», sottolineando che le richieste sono più facili «quando sono coinvolti pochi siti produttivi». Per Enrica Altieri, che fino a giugno 2020 ha diretto il dipartimento di Ricerca e sviluppo sui medicinali per uso umano dell’Ema, «dobbiamo chiederci quanto siano reali le date di scadenza indicate in etichetta». «Le aziende generalmente cercano di avere la scadenza più breve possibile, principalmente per due motivi », spiega Altieri: il primo è che «gli studi di stabilità richiedono tempo, perché devono essere fatti in real-time». Il secondo è commerciale: «Quando un farmaco è scaduto, lo gettiamo e ne compriamo uno nuovo». Nel caso di AstraZeneca, le dosi ormai scadute sono state vendute a prezzo di costo. Quelle di futura produzione potranno essere vendute con un margine di profitto. Questa inchiesta fa parte del progetto europeo #FollowTheDoses, finanziato da #IJ4EU e coordinato da Lise Barnéoud (Francia). Hanno collaborato anche: Lucien Hordijk (Olanda), Priti Patnaik (Svizzera), Hristio Boytchev (Germania) e Flourish Alonge (Nigeria).
(Ludovica Jona)
343 total views, 1 views today