Per raggiungere i suoi scopi Netanyahu concepisce un solo mezzo, il ricorso alla forza, con un disprezzo assoluto del diritto internazionale
Le Monde, 1° Ottobre 2024,
di Jean-Paul Chagnollaud
Tribuna
Il primo maggio 2003, sulla portaerei Abraham-Lincoln, George W. Bush annunziava con enfasi la vittoria dell’esercito americano in Iraq nell’operazione “Libertà dell’Iraq”. Poco tempo dopo il paese affondava in una tragedia senza fine da cui non si è ancora veramente risollevato.
Venti anni più tardi, il 19 ottobre 2023, Joe Biden, conscio dello stato d’animo del primo ministro israeliano dopo gli odiosi massacri del 7 ottobre perpetrati da Hamas e pensando al disastro iracheno, gli rivolge questo avvertimento, in occasione di una conferenza stampa a Tel Aviv: “Non fate gli stessi errori che abbiamo fatto noi”.
Come rapito dalla vertigine del potere conferitogli dalla sua onnipotenza su un potente esercito, Benyamin Netanyahu non lo ha sentito. Bisogna prenderlo molto sul serio quando ripete che conduce una guerra totale per una vittoria che lo sia altrettanto, e non lasciarsi ingannare dagli obiettivi dichiarati.
Almeno fino al 5 novembre
Quando pretende di voler sradicare Hamas egli vuole in realtà risolvere definitivamente la questione palestinese in tutte le sue dimensioni, ivi compreso l’UNRWA (Ufficio dell’ONU d’aiuto ai rifugiati di Palestina che il governo israeliano accusa di connivenza con Hamas)
Quando pretende di farla finita con Hezbollah per permettere a 80.000 israeliani di tornare a casa nel Nord, vuole imporre una dominazione totale sul Libano per controllare in un modo o nell’altro il suo territorio dal confine al Litani.
Per raggiungere il suo scopo, non concepisce che un solo mezzo, il ricorso alla forza, senza alcun limite con un disprezzo assoluto per le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU come per il diritto internazionale umanitario. Con tale logica non è lasciato alcun ruolo alla diplomazia per tentare di fare liberare gli ostaggi di cui non ha fatto una priorità. Netanyahu ha rifiutato il cessate il fuoco a Gaza come ha adesso rifiutato con disinvoltura la proposta franco-americana di una tregua in Libano.
Egli può agire in questo modo perché sa che i suoi sostegni occidentali non lo abbandoneranno. Dovunque vada e qualsiasi cosa faccia. Gli Stati Uniti non faranno nulla per contrastarlo perlomeno sino al 5 novembre, data dell’elezione presidenziale di cui egli probabilmente spera Donald Trump potrà uscire vincitore. Intanto l’amministrazione Biden non può permettersi alcuna attenuazione del suo sostegno a Tel-Aviv perché questo rischierebbe di essere sanzionato dagli elettori.
Un’Europa disunita
Netanyahu sa anche che non ha nulla da temere da un’Europa disunita; la Francia cerca con determinazione di interporsi in Libano mentre la Germania continua a fornirgli una parte importante delle armi di cui ha bisogno. Egli sa infine che, per molteplici ragioni, l’Iran non interverrà per sostenere Hezbollah, come nemmeno ha fatto all’indomani dell’uccisione di Imail Haniyeh a Teheran, il 31 luglio. E nel caso in cui, nonostante tutto, ciò avvenisse i piani per un contrattacco sono pronti: “Ho un messaggio, dice, per i tiranni di Teheran: se ci colpite, noi vi colpiremo” [discorso del 27 settembre all’ONU].
Questo discorso alle Nazioni Unite, davanti a un’Assemblea generale vuota per tre quarti, ha mostrato una volta ancora il disprezzo brutale che ha per loro: “Io ve lo dico, fino a quando Israele, fino a quando lo stato ebraico non sarà trattato come le altre nazioni, fino a quando questa palude antisemita non sarà bonificata, l’ONU sarà considerata dalla gente giusta come nulla più che una farsa spregevole”.
Lungi da portare al nuovo ordine armonioso del Medio-Oriente che ha elogiato nella sua allocuzione, la guerra che conduce ha già provocato un’enorme catastrofe umanitaria e un immenso caos con, come sfondo, un bilancio umano spaventoso: 41.000 morti e diecine di migliaia di feriti a Gaza [secondo il ministero della Sanità di Hamas]. Più di 700 morti e migliaia di feriti in cinque giorni nel paese dei Cedri, secondo numerose fonti di stampa concordanti.
In Libano, già alle prese con la crisi economica e sociale più terribile che abbia mai conosciuta, i bombardamenti massicci e l’esodo forzato di un milione di persone (su una popolazione di circa 5 milioni) rischiano di seppellirlo per molto tempo. Najib Mikati, il primo ministro libanese stima che potrebbe trattarsi del “più grande spostamento di popolazione della storia del paese”. (L’Orient-le Jour del 29 settembre)
Un rischio immediato di morte
A Gaza, due milioni di persone si ritrovano nella miseria più completa nonostante il sostegno delle ONG e delle istituzioni dell’ONU. I Gazawi sono condannati ad errare per un tempo indeterminato visto che non hanno più una casa. Tutto ovunque è distrutto, ridotto in macerie: immobili, edifici pubblici, infrastrutture, reti degli acquedotti, centrali elettriche e anche i cimiteri…
La distruzione sistematica di quasi tutte le scuole e di tutte le università (il più delle volte con esplosivi posti negli edifici da unità specializzate, come si può vedere da immagini filmate dagli stessi soldati e presenti nei mass media come la CNN), significa che il governo israeliano ha freddamente deciso di privare i giovani palestinesi del loro avvenire.
In quanto alla Cisgiordania essa costituisce una posta in gioco predominante poiché è lì che si espande la colonizzazione con, come scopo ultimo, la sua annessione, come affermato da molteplici dichiarazioni di responsabili politici da anni. Questo territorio palestinese è sottoposto ad un esercito di occupazione e la minima espressione di resistenza – ovviamente sempre qualificata come terrorista – si traduce in un rischio immediato di morte – più di 600 vittime dal 7 ottobre secondo l’OCHA (Unite Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs). La violenza dei coloni imperversa ovunque nella più totale impunità: sempre secondo l’OCHOA, sono stati registrati 1.143 attacchi da parte dei coloni tra il 7 ottobre 2023 e il 5 agosto 2024.
Questo caos rischia di aggravarsi in modo vertiginoso e di espandersi a paesi limitrofi, se nulla ferma l’arroganza di Netanyahu in Libano, è urgente intervenire e ricordare la forza della centralità del diritto internazionale che costituisce un bene comune dell’intera umanità, se questo termine ha ancora un senso oggi.
Jean-Paul Chagnollaud è professore emerito delle Università e presidente dell’istituto di Ricerca e Studio Méditerranée Moyen-Orient (IreMMO).
Il testo è stato tradotto da Hélène Colombani Giaufret.
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