L’Iran e il velo sulla libertà
Salute Internazionale, 20 dicembre 2022
Letizia Fattorini
Da tre mesi stiamo assistendo ad uno tsunami di proteste del popolo iraniano, una combinazione di diverse lotte contro l’oppressione delle donne, contro la corruzione e la povertà, contro la discriminazione etnica e il fondamentalismo religioso, contro il conformismo intellettuale, contro il terrore di Stato. In pratica, contro la Repubblica Islamica.
Gli iraniani, e in particolare i giovani (la maggior parte dei manifestanti sono ragazzi e ragazze tra i 15 e i 25 anni), chiedono a gran voce un Paese libero dal dogmatismo religioso e politico, in cui prevalgano dignità umana e giustizia, e dove tutti possano godere di una società equa e non discriminatoria (1). La miccia che ha scatenato l’esplosione dell’ondata di proteste antigovernative è stata la morte di Masha Amini, una ragazza curda iraniana di 22 anni che si trovava a Teheran con la famiglia, arrestata e bastonata dalla polizia morale il 16 settembre 2022, per non aver indossato correttamente lo hijab (2).
Da allora centinaia di manifestazioni si sono svolte in tutto il paese contro le assurde leggi della teocrazia degli ayatollah. Da allora, il grido “Donna, vita, libertà” si è diffuso ovunque, diventando lo slogan di un movimento guidato da giovani uomini e donne di tutte le età per chiedere diritti civili e democrazia. Nonostante il blocco di internet imposto dal governo, sui social hanno continuato a diffondersi le foto di donne che bruciano lo hijab, si tagliano i capelli o baciano i fidanzati per strada. Sono le istantanee diventate simbolo della lotta degli iraniani, e dimostrano il ruolo guida delle donne (3).
Da quando sono scoppiate le proteste, sono state arrestate migliaia di persone, e il bilancio della repressione è durissimo: più di 470 morti, 18 mila persone arrestate. Per Amnesty International, durante le proteste sono stati uccisi 44 bambini, di cui 5 per aggressioni e uno soffocato dai lacrimogeni. La magistratura iraniana ha dichiarato di aver emesso condanne a morte per 11 persone coinvolte nelle proteste; gli attivisti invece sostengono che circa un’altra dozzina di persone è stata condannata alla pena capitale. Finora sono stati giustiziati due giovani ventitreenni, entrambi impiccati con l’accusa di “moharebeh” (“inimicizia contro Dio”) secondo la sharia islamica iraniana (4): Mohsen Shekari, ucciso l’8 dicembre, era accusato di aver bloccato una strada e attaccato un membro delle forze di sicurezza con un machete a Teheran. Majidreza Rahnavard, impiccato tre giorni dopo nella sua città natale Mashhad, avrebbe invece ucciso due basiji, componenti della forza paramilitare fondata dall’ayatollah Komeini usata per reprimere violentemente le proteste (5).
Sahara Toufigh, avvocata ed attivista per i diritti umani, in Italia dal 2005 e tra le fondatrici dell’associazione “Donne libere iraniane”, denuncia i numerosi processi lampo dopo gli arresti, con il divieto di ricorrere ad avvocati di fiducia e la nomina di avvocati d’ufficio “per nulla indipendenti”, come è accaduto per i due giovani giustiziati. Racconta inoltre che (6). Hamed Salahshoor, un giovane taxista di 23 anni, fu arrestato a Izeh, provincia di Khuzestan a sud di Teheran. Quattro giorni dopo le forze di polizia avvisarono i familiari che era deceduto per un attacco cardiaco. Per la prima volta dall’inizio della rivolta – afferma un articolo della BBC del 19 dicembre – il corpo di una persona morta in carcere è stato esumato ed erano evidenti chiari segni di tortura (7). L’articolo della BBC contiene anche un video della durata di 5’32” “The secret diaries of women protesting in Iran”.
È il 1979 quando la Rivoluzione Islamica porta al potere lo Ayatollah Ruhollah Khomeini e instaura una costituzione teocratica che prevede, tra l’altro, l’uso obbligatorio dell’hijab, l’imposizione alle donne di indossare il velo al di fuori delle mura domestiche (8). Ma per capire come si è arrivati a tutto ciò è necessario riavvolgere il nastro almeno fino agli inizi degli anni 50 del secolo scorso.
Vigeva allora il regime monarchico dello scià Mohammad Reza Pahlavi (9), che aveva stabilito un rapporto privilegiato con il Regno Unito, concedendogli lo sfruttamento delle ricche risorse petrolifere attraverso la Anglo-Iranian Oil Company. Tale politica era fortemente invisa alla grande maggioranza degli iraniani, che scesero in piazza per protesta contro la compagnia britannica. Mohammad Mossadeq (nella foto), alla guida di un movimento parlamentare che si opponeva al rinnovo della concessione petrolifera ai britannici, fu nominato Primo Ministro nel marzo 1951. Come primo atto smantellò l’Anglo-Iranian Oil Company, costituendo la National Iranian Oil Company. Per tutta risposta la Gran Bretagna congelò i capitali iraniani che si trovavano in gran parte nelle sue banche, rafforzò la presenza militare nel Golfo Persico, attuò un blocco navale che impediva l’esportazione di petrolio e dispose un embargo commerciale. La questione fu portata all’attenzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Mossadeq si recò personalmente a New York per difendere le ragioni del suo Paese e riportò una schiacciante vittoria diplomatica sull’Inghilterra, che però non produsse effetti concreti sull’embargo commerciale. La crisi economica causata dall’impossibilità di esportare il petrolio procurò a Mossadeq un grave calo di consensi, a cui rispose con misure autoritarie e con l’esautorazione dello Scià, che chiese protezione agli anglo-americani. Nel 1953 con un colpo di stato, denominato “Operazione Ajax, i servizi segreti anglo-americani portarono alla destituzione di Mossadeq (10). Tornò così al potere lo scià Reza Pahlavi, mandato in esilio a Roma pochi mesi prima, e tornarono le concessioni petrolifere agli stranieri insieme a tentativi di modernizzare la società: buona parte della popolazione cominciò a interpretare le sue politiche come una “forzata occidentalizzazione”, così donne di ogni estrazione sociale sfilarono opponendosi al regime, utilizzando come simbolo della ribellione lo chador (un lungo mantello nero che ricopre completamente il corpo, ad esclusione di mani, piedi e viso). Lo Scià alternò istanze modernizzatrici a spietate repressioni, impose alle donne di togliersi il velo senza concedere loro il voto. Quest’ambivalente politica si espresse quindi in una modernizzazione appena abbozzata, superficiale e soprattutto ristretta ad una fascia molto limitata della popolazione. Al crescente malcontento della popolazione, le cui condizioni di povertà si erano aggravate negli ultimi anni, il sovrano decise di rispondere con la forza. Nel 1975 lo scià dichiarò illegali tutti i partiti politici, dissolvendo di fatto ogni forma di opposizione legale e favorendo la nascita di movimenti clandestini di resistenza. Tutte le forze di opposizione al monarca si riunirono intorno alla figura carismatica dell’Ayatollah Ruhollah Khomeyni, confinato in esilio, prima a Najaf, in Iraq, poi a Parigi, per aver apertamente criticato lo scià fin dal 1963. Le proteste di massa iniziarono nel 1978 proprio in reazione ad un articolo della stampa di regime che dileggiava l’Ayatollah Khomeyni avviando una spirale di manifestazioni di protesta che portarono al blocco del Paese.
Anche se molte forze – di ispirazione religiosa, nazional-liberale e marxista – contribuirono alla caduta del regime monarchico dello scià, alla fine prevalse la componente religiosa più radicale che, grazie al carisma del principale oppositore, l’Ayatollah Khomeyni, portò, nel 1979, alla costituzione della Repubblica Islamica. Lo dice anche un proverbio che la storia non si fa con “se”. Quindi possiamo solo immaginare quale sarebbe potuto essere il destino dell’Iran se non ci fosse stato il colpo di stato e si fossero realizzate le scelte unanimi di un parlamento guidato da un politico laico come Mossadeq. La Storia, quella vera, invece ci dice che dalla fine del XIX secolo, la corsa al petrolio ha accompagnato lo sviluppo del mondo e la sua crescita. Ha contribuito sia a migliorare drasticamente le condizioni di vita che a volte a distruggerle con una velocità impressionante. Questa dicotomia spiega in gran parte l’importanza strategica che le viene attribuita. Ancora oggi l’accesso all’oro nero fornisce questa leva essenziale per il dominio economico e militare. La sua conquista ha portato a molti conflitti il più recente dei quali, la guerra in Iraq del 2003 (ricordiamolo: innescata da USA e UK con prove false) che oltre a distruggere un paese e a uccidere centinaia di migliaia di persone, ha destabilizzato l’intera regione, ha esportato la guerra in Siria e provocato la fuga di milioni di profughi (11).
Letizia Fattorini, medico in formazione specialistica in Igiene e Medicina Preventiva, Università di Firenze
Bibliografia
1. https://www.unive.it/pag/14024/?tx_news_pi1%5Bnews%5D=13239&cHash=84cac32a 4f91324de7962bc215d20dd3
2. Salem, N. Kennedy, S.N. Haq – CNN. UN rights chief says “full-fledged” crisis underway in Iran amid crackdown on protesters. Disponibile su: https://edition.cnn.com/2022/11/24/middleeast/iran-protests-un-human-rights-council-i ntl/index.html
3. https://www.repubblica.it/esteri/2022/12/05/news/iran_proteste_foto_simbolo_polizia_ morale-377545226/
4. https://www.ilsole24ore.com/art/iran-attivisti-4-ragazze-rapite-e-imprigionate-AEsRa8N C
5. Colarusso, Serranò – La Repubblica, 13 dicembre 2022. Impiccato nella piazza delle proteste – l’avvertimento dell’Iran agli oppositori.
6. Il Sole 24 Ore, https://www.ilsole24ore.com/art/iran-tre-mesi-lotta-i-diritti-AEm2eUPC
7. Parham Ghobadi, BBC, https://www.bbc.com/news/world-middle-east-64025754
8. http://www.lefotochehannosegnatounepoca.it/2018/03/08/8-marzo-del-1979-le-donne-ir aniane-protestano-lhijab-forzato-nei-giorni-successivi-alla-rivoluzione-iraniana-islamica/
9. Wikipedia, Mohammad Reza Pahlavi. Disponibile su: https://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Reza_Pahlavi
10. Wikipedia, Mohammad Mussadeq. Disponibile su: https://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Mossadeq (Accesso 18.12.2022)
11. https://www.iassp.org/2021/01/il-petrolio-e-la-guerra-economica/
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