I ribelli ugandesi dell’Adf nella galassia dello Stato Islamico
25 Giugno 2023 – 21:57

Africa, 25 giugno 2023
di Angelo Ferrari
Il terreno di battaglia privilegiato dello Stato Islamico è diventato l’Africa, dopo la perdita del suo califfato tra Iraq e Siria. L’appoggio dell’Isis a svariate formazioni jihadiste africane è orami …

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L’odio non può mai essere buono

a cura di in data 24 Dicembre 2023 – 23:05Nessun commento

Betlemme, Museo Internazionale della Natività, presepe palestinese
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 24 dicembre 2023
di Giorgio Pagano

L’ACQUA A GAZA
L’ultimo progetto di cooperazione che ho seguito in Palestina (dal 2018 al 2020, fino alla pandemia) si occupava del problema dell’acqua. L’acqua è un’emergenza in tutta la Palestina, per via del territorio desertico o semiarido e perché Israele ha il monopolio delle risorse idriche e lo utilizza penalizzando i palestinesi nella distribuzione: il consumo di acqua degli israeliani è almeno quattro volte superiore a quello dei palestinesi.
A Gaza la situazione era già drammatica allora, e stava portando al tracollo: il 96% delle risorse idriche disponibili non erano potabili e le infrastrutture erano state danneggiate pesantemente dai bombardamenti israeliani del luglio-agosto 2014. L’acqua a Gaza proviene da tre diverse fonti. In ordine di grandezza: una falda acquifera sotterranea, eccessivamente utilizzata e infiltrata da acqua marina, con livelli di salinità dieci volte più alti di quanto prevedano gli standard per la salute; trasferimenti idrici da parte israeliana; piccole risorse provenienti da impianti di desalinizzazione di acqua marina (alla realizzazione di uno di questi lavorò, in una joint venture, l’allora Termomeccanica Pompe), già allora scarsamente funzionanti per mancanza di energia elettrica. A partire dal 2008 – i primi bombardamenti israeliani – ogni giorno da 50.000 a 80.000 m³ di liquami non trattati fluivano da Gaza nel Mediterraneo: non avevamo la stima esatta, ma ormai erano certamente molti di più. Un altro dramma, anche perché l’acqua in Israele e in Palestina può esserci in modo sufficiente solo se quella delle fognature viene depurata e riutilizzata.
Cerco di immaginare la situazione attuale: pochissima acqua, tutta non potabile. Messaggi whatsapp dalla Cisgiordania – da Gaza li ho ricevuti solamente nei primi giorni dopo il 7 ottobre, poi più nulla – mi raccontano che, quando va bene, ogni palestinese a Gaza ha oggi accesso ad appena mezzo litro d’acqua potabile al giorno. E che le acque reflue scorrono nelle strade. Il rischio di epidemie è fortissimo e potrebbe rivelarsi devastante per una popolazione già stremata.
Anche le guerre hanno delle regole e vincolano tutte le parti. E’ illegale prendere di mira i civili. E’ illegale negare cibo e acqua ai civili. E’ illegale prendere di mira ospedali, scuole e strutture civili. Uno dei giornali più autorevoli al mondo – il “Washington Post” – ha dimostrato, sulla base delle immagini satellitari e di altro materiale pubblicato dall’esercito di Israele, che non c’è alcuna prova che l’ospedale di al-Shifa, distrutto dalle bombe, fosse un centro di Hamas. Spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità:
“Nella Striscia di Gaza non ci sono ospedali pienamente operativi a causa dei bombardamenti israeliani e il sistema sanitario della regione ha bisogno di essere resuscitato con urgenza: ventitré ospedali non funzionano per niente, nove funzionano solo parzialmente, e quattro al minimo”. 20 mila morti, il 70% donne e bambini. La “guerra intelligente” è in realtà la guerra più stupida del mondo. Come è possibile prendere il controllo di Gaza cacciando i civili, cioè fare due milioni di sfollati, senza scatenare una catastrofe umanitaria?

GLI STATI UNITI E L’ARROGANZA DEL POTERE
Bisogna chiedere il rispetto del Diritto internazionale umanitario a tutte le parti coinvolte nel conflitto. Hamas liberi gli ostaggi, Israele fermi la guerra. Lo chiede tutta la comunità internazionale, tranne gli Stati Uniti. Una vergogna per questo grande Paese, protettore e complice di Netanyahu. Biden ha davvero perso la bussola. Sessant’anni fa il senatore americano J. William Fullbright, quando era presidente del Comitato per le relazioni estere del Senato, scrisse il bellissimo libro “L’arroganza del potere”. Fullbright indicò nell’arroganza la causa profonda della sconsiderata guerra americana in Vietnam. Nella sua continua arroganza, oggi come allora lo Stato di sicurezza militare statunitense ignora ripetutamente la volontà della comunità internazionale e il diritto internazionale, perché ritiene che le armi e il potere glielo consentano.

“MA COS’ALTRO POTEVA FARE ISRAELE DOPO L’ATTACCO DI HAMAS?”
L’ideologia dell’odio di Hamas è terribile. Nasce dall’essere nati in un campo profughi, dopo essere stati cacciati dalle proprie case. In Cisgiordania ci sono paesi antichissimi, dove i palestinesi vivono da secoli. A Gaza è diverso. Nel 1948, quando Israele fu fondato nella terra chiamata Palestina, 750 mila palestinesi persero la casa. Molti andarono nella Striscia: è il 70% dell’attuale popolazione di Gaza. Spesso, ancora oggi, all’entrata delle case sono appese le chiavi delle case abbandonate di ieri, a memoria di quel momento: i palestinesi lo chiamano Nakba, “la catastrofe”. L’odio nasce da qui.
Il filosofo Baruch Spinoza, uno dei più grandi pensatori ebrei di tutti i tempi, scrisse che “l’odio non può mai essere buono”. Mai vuol dire “mai”: anche quando si tratta di rispondere all’odio ricevuto.
Alla domanda formulata da tanti: “Ma cos’altro poteva fare Israele dopo l’attacco di Hamas?” rispondo così:
“Doveva rafforzare la sicurezza delle frontiere, lasciate sguarnite per un suo colossale errore. Hamas non è nulla rispetto alla potenza militare di Israele. E’ un movimento diventato regime autoritario, con una base di consenso fondata sull’odio. Israele doveva – e deve – sradicare l’odio, e quindi Hamas, con la diplomazia e con la pace, ritirandosi dai territori occupati e accettando uno Stato palestinese sovrano accanto a Israele, ridando in questo modo ai palestinesi una prospettiva di dignità e di uscita dalla logica della guerra, che sconfigga l’odio. E’ una via del tutto praticabile, perché tutti i Paesi arabi e islamici, compreso l’Iran, vogliono la pace con Israele. Del resto non potrebbero fare altro, non ne hanno la minima forza”.
La vera questione è che Netanyahu ha invaso Gaza perché non vuole i due Stati. E’ lo stesso motivo per cui Israele ha fatto di tutto, in questi anni, per rafforzare Hamas contro Fatah, la componente palestinese con cui il premier israeliano Rabin – poi ucciso da un colono estremista nel 1995– aveva firmato gli accordi di Oslo per i due Stati. Ma Netanyahu non parla a nome dell’ebraismo. Andate a New York, alla sede delle Nazioni Unite. Su un muro sono iscritte le parole del profeta Isaia che contengono il messaggio dell’etica ebraica: “Batteranno le loro spade in vomeri e le loro lance in uncini da potatura: la nazione non alzerà più la spada contro la nazione e non impareranno più la guerra”.

Betlemme, Basilica della Natività, Natale 2023, presepe nelle macerie
(foto inviata a Giorgio Pagano da Betlemme il 24 dicembre 2023)

DUE POPOLI, DUE STATI. L’ALTERNATIVA E’ LA CATASTROFE
Israele va salvato da se stesso, come dice l’ex presidente del Parlamento israeliano Avraham Burg. E’ cascato nella trappola di Hamas: una lunga guerra basata sull’odio reciproco. Israele vuole cacciare i palestinesi da Gaza: ma per mandarli dove? Vuole distruggere Hamas: ma come può farlo senza sterminare i palestinesi? Senza far crescere la “cultura del martirio”, che farà sorgere dopo Hamas qualcosa di peggio ancora per Israele? Senza ampliare a dismisura la critica internazionale nei suoi confronti? Israele deve capire che, come ha detto lo storico Enzo Traverso, “se non si ferma questa guerra nessuno potrà più parlare di Olocausto senza suscitare diffidenza e incredulità”.
Non c’è alternativa: bisogna riprendere un filo interrotto molti anni fa. Solo la politica potrà dare la sicurezza a Israele, non la guerra. Dopo così tanti anni ormai è chiaro. La comunità internazionale deve imporre questa strada. L’Europa deve farlo capire al suo alleato-padrone in grave crisi di identità: gli Stati Uniti. Deve cioè saper accompagnare il declino inesorabile dell’egemonia americana. Un Paese che elegge presidente Trump – e che delusione il vecchio Biden! – come può pretendere di essere il “faro del mondo”?
Ma molto deve nascere in Israele e in Palestina. Si deve aprire una prospettiva nuova in due società entrambe lacerate dalla crescita dei nemici della laicità e della democrazia. In vent’anni di frequentazione dei due popoli ho constatato amaramente il lento progredire, in entrambi, del fanatismo identitario, mascherato da fede religiosa (che spesso non è sincera). Ho fatto in tempo a conoscere forze socialiste e anche gandhiane, sia israeliane che palestinesi, di cui non c’è quasi più traccia. O forse sì. Prima del 7 ottobre in Israele era in atto una mobilitazione democratica senza precedenti contro Netanyahu. E in Palestina molti sono consapevoli che solo la politica può servire alla causa, che la violenza terroristica la delegittima. In un Natale mai così triste – la “mia” Betlemme, città a cui sono molto legato, nemmeno lo festeggia – dobbiamo sperare. Penso a Gerusalemme: è la città di un destino comune. Penso ai Parents Circle, l’organizzazione mista israelo-palestinese che riunisce più di 600 famiglie in lutto che hanno avuto vittime nel conflitto. Ha pronunciato parole inequivocabili:
“I nostri cuori sono spezzati. E’ il momento per tutte le parti coinvolte di riflettere sull’insensatezza di questo conflitto e riconoscere l’umanità condivisa che ci lega tutti”.
E’ difficile, ci vorranno tutta l’intelligenza e la passione del mondo. Ma l’alternativa è la catastrofe.
Oggi è il giorno in cui nacque un bambino. Benedetto quel bambino che risponderà all’odio non con l’odio ma con l’umanità.

Buon Natale a tutte e a tutti

Post scriptum:
La fotografia in alto riproduce un presepe palestinese, esposto nel Museo Internazionale della Natività di Betlemme. Nella Basilica della Natività è stato allestito, nel 2023, un presepe nelle macerie, con Gesù avvolto nella kefiah. La fotografia mi è stata inviata via whatsapp da amici di Betlemme.

Sul tema rimando ai miei ultimi articoli:
“Fermate l’orrore con la forza della ragione”, Criticasociale.it, 18 ottobre 2023
“Dobbiamo imparare a vivere insieme”, Città della Spezia, 15 ottobre 2023
“Israele e Palestina, c’è un unico modo per raggiungere la pace”, Città della Spezia, primo ottobre 2023
“Cisgiordania: l’altro Israele faccia sentire la sua voce”, Critica sociale, maggio-giugno 2023, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com
“Palestina dimenticata”, Patriaindipendente.it, 2 gennaio 2023
“Natale in Palestina”, Città della Spezia, primo gennaio 2023

Giorgio Pagano

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