I ribelli ugandesi dell’Adf nella galassia dello Stato Islamico
25 Giugno 2023 – 21:57

Africa, 25 giugno 2023
di Angelo Ferrari
Il terreno di battaglia privilegiato dello Stato Islamico è diventato l’Africa, dopo la perdita del suo califfato tra Iraq e Siria. L’appoggio dell’Isis a svariate formazioni jihadiste africane è orami …

Leggi articolo intero »
Home » Salute Internazionale

Al peggio non c’è mai fine

a cura di in data 29 Marzo 2023 – 21:24Nessun commento

Richiedenti asilo nel Regno Unito, per nazionalità (prime dieci). Anno
2022

Salute Internazionale, 29 marzo 2023

Pasqua Putignano e Gavino Maciocco

Pochi giorni dopo la strage di Cutro, una notizia shock arriva dal Regno Unito. Il governo, per bloccare l’arrivo di barche dalla Manica, ha deciso di arrestare i migranti, di non accettare le richieste di asilo (anche di chi ne avrebbe legalmente diritto) e di deportarli in Rwanda. Cose già viste in Australia.

Pochi giorni dopo la strage di Cutro, una notizia shock arriva dal Regno Unito. Il governo, per bloccare l’arrivo di barche dalla Manica, ha deciso di arrestare i migranti, di non accettare le richieste di asilo (anche di chi ne avrebbe legalmente diritto) e di deportarli in Rwanda. Cose già viste in Australia.
Alle 4 del mattino dello scorso 26 febbraio un peschereccio di legno carico di migranti, proveniente dalla Turchia, si schianta a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro (Crotone). (vedi post Senza Soccorso). L’attuale, provvisorio, bilancio è di 91 vittime, tra cui 35 minori; una ottantina i sopravvissuti, mentre continuano le ricerche di un numero imprecisato di dispersi. A un mese dal naufragio più drammatico degli ultimi 10 anni nei mari italiani, rimangono ancora molte domande senza risposta.
Un video pubblicato su La Stampa mostra la registrazione dell’aereo di Frontex che aveva avvistato l’imbarcazione a largo delle coste ioniche, alle 22 e 30 del 25 febbraio: questa, carica di migranti, ondeggia in un mare molto mosso ed è priva di dispositivi di salvataggio. Il servizio de La Stampa riporta anche l’allerta meteo dell’Aeronautica Militare: mare in burrasca con onde alte tre metri in quella zona di mare dalle 6 di pomeriggio del 25 febbraio alle 6 di mattina del giorno seguente. Ebbene – nonostante tutto ciò, nonostante che la Guardia di Finanza alle 3 e 20 avvisi che le sue motovedette, per le condizioni avverse del mare, non possono raggiungere l’obiettivo – le navi della Guardia costiera non si muovono per avviare l’operazione di soccorso. Perché?
E perché nonostante l’allarme dello schianto a 50 metri dalla riva sia stato lanciato alle 4 del mattino i soccorsi sono arrivati alle 5 e 35, con un ritardo di un‘ora e mezzo? Molti decessi sono stati provocati non da annegamento, ma da ipotermia. Vittime che potevano essere salvate.
Mentre in Italia montava la discussione sulle responsabilità del naufragio – con il Governo che cercava di scaricarle sulle vittime (“la disperazione non giustifica i viaggi che mettono a rischio i figli”, ministro Piantedosi) – negli stessi giorni la questione migranti esplodeva in Gran Bretagna con una proposta di legge presentata dal Primo Ministro Rishi Sunak, denominata “Stop the Boats”. Fermare le barche che attraversano la Manica al fine di bloccare il crescente afflusso di migranti sulle coste inglesi.
Una proposta shock che si può riassumere in tre punti:
Negargli la possibilità di richiedere l’asilo (anche se in pieno diritto di ottenerlo)  Deportarlo in un “paese terzo”.
Il “paese terzo” dovrebbe essere il Rwanda, paese africano con cui già un anno fa’ il Governo britannico (Primo ministro Boris Johnson) aveva stabilito un criticatissimo accordo di trasferimento di migranti ai quali non fosse stato riconosciuto il diritto di asilo. Accordo molto criticato – e ancora non attuato – , giudicato non etico, sbagliato e razzista da leader religiosi, rappresentanti di ONG, funzionari pubblici e membri del parlamento: valutazione condivisa anche dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e da Amnesty International.
Tuttavia il governo britannico sembra ora deciso a realizzare il piano di deportazione al punto che un suo ministro, Suella Braveman, a metà marzo si è recata in Rwanda a supervisionare gli alloggi destinati ad accogliere i migranti spediti dal Regno Unito. Una visita anche questa molto criticata, non solo per le immagini di gioioso compiacimento con cui è stata rappresentata la missione della Ministra, ma anche perché non sono stati invitati alla missione i giornalisti della stampa meno amica del Governo: Guardian, Mirror e Independent.
Lo “Stop the Boats Bill” ha suscitato un’ondata di indignazione. “Una politica crudele non molto diversa da quelle applicate nella Germania degli Anni Trenta, contro le fasce della popolazione più deboli”; così ha scritto su Twitter Gary Lineker, ex attaccante inglese di Barcellona e Tottenham oltre che stella della Nazionale, oggi commentatore tv tra i più conosciuti della BBC. Parole che hanno provocato l’ira del partito conservatore che ha chiesto alla BBC il licenziamento di Lineker. L’ex attaccante della Nazionale inglese è stato sospeso dalle trasmissioni, ricevendo subito una valanga di solidarietà da parte del mondo del giornalismo sportivo e del calcio giocato.
La decisione del Governo di non accettare le richieste di asilo si scontra ovviamente con la Convenzione di Ginevra del 1951 che definisce il termine “rifugiato” e specifica tanto i diritti dei migranti forzati quanto gli obblighi legali degli Stati di proteggerli.
Per questo nel Regno Unito sono insorte le associazioni in difesa dei diritti civili, tra cui Human Rights Watch. La sua rappresentante, Tirana Hassan, ha affermato: “Questa una politica d’accatto, divisiva e contraria ai diritti umani. Io penso che questo governo stia raschiando il fondo del barile (…) Il rischio è che altri paesi conservatori come l’Ungheria, la Polonia e l’Italia la possano prendere a modello. Siamo su una china molto scivolosa”.
La deportazione di persone che richiedono asilo, purtroppo, ha dei precedenti.
Dal 2001 ad oggi l’Australia ha sostenuto una politica di deportazione dei richiedenti asilo nell’isola di Manus (Papua Nuova Guinea) e a Nauru, la cosiddetta “Pacific Solution” (Pacifica nel senso dell’Oceano…). Migliaia di persone deportate, compresi i bambini, sono state trattenute a tempo indeterminato in condizioni precarie, subendo gravi abusi e trattamenti disumani. Un gruppo di psichiatri che ha visitato i campi di detenzione ha parlato di condizioni simili alla tortura. Nonostante l’interessamento dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) e di Amnesty International e le numerose denunce, il modello nel tempo è stato non solo mantenuto, ma anche inasprito. Nel dicembre 2014, una revisione della norma sull’immigrazione australiana trasgredisce gran parte dei riferimenti alla Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo status dei rifugiati, affermando che l’obbligo internazionale di non respingimento è “irrilevante” rispetto a un “non-cittadino illegittimo”.

Isola di Manus e Nauru

Le Nazioni Unite hanno ripetutamente affermato che il sistema australiano viola la convenzione contro la tortura e il Procuratore del Tribunale penale internazionale ha affermato che la detenzione a tempo indeterminato in mare aperto è “trattamento crudele, inumano o degradante” e “illegale” ai sensi del diritto internazionale.
Il centro di detenzione sull’isola di Manus è stato alla fine dichiarato illegale dalla Corte suprema di Papua Nuova Guinea e è stato ordinato di chiuderlo. L’Australia ha dovuto pagare più di 70 milioni di dollari di risarcimento a più di 1.000 persone che aveva incarcerato illegalmente sull’isola.
Nauru, tuttavia, persiste. I “file Nauru” del 2016, una raccolta di documenti di lavoro interni trapelati scritti dal personale, hanno rivelato ripetuti atti di violenza sessuale contro i bambini di appena sei anni, aggressioni violente contro detenuti e negligenza sistemica. (vedi ‘Stop the boats’: Sunak’s anti-asylum slogan echoes Australia’s harsh policy”)
Il modello australiano è stato di ispirazione anche per uno schema israeliano, introdotto nel 2013, che ha costretto i migranti (per lo più eritrei e sudanesi) a scegliere se tornare nel loro paese o trasferirsi in Rwanda o in Uganda; la mancata partenza in entrambi i casi esitava con la reclusione e coloro che hanno optato per il trasferimento sono stati maltrattati e sfruttati e molti sono fuggiti attraverso pericolose rotte di contrabbando verso l’Europa.

(Pasqua Putignano, Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Firenze)

 197 total views,  1 views today